Una questione di visione e di passione
10 9 2020
Una questione di visione e di passione

A lezione di design e di vita con Antonio Citterio

Antonio Citterio, dopo più di cinquant’anni di carriera divisi tra architettura e design industriale, ha vestito oggi i panni dell’insegnante. Quella che ha preparato, infatti, è una vera e propria lezione; ma una lezione senza cattedra e senza esami che, lungi dal voler trasmettere un contenuto univoco, punta a insegnare qualcosa di diverso a tutti i giovani che compongono il pubblico tramite la storia di un ragazzo e della sua passione. Che è rimasto tale, anche se ora quel ragazzo è il fondatore dello studio di architettura più conosciuto in Italia.

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Raccontando del suo esordio, di come a tredici anni già disegnava nell’atelier di un artista del suo paese natale, a diciannove ha venduto il suo primo bozzetto e a venti ha aperto il suo studio, Citterio si dimostra pieno di onestà nel rivolgersi ai volti giovanissimi che lo guardano dalla platea. Riconosce che negli anni Settanta il panorama artistico era molto diverso e che oggi chi vuole sfondare deve fronteggiare sfide completamente diverse. Eppure, nel ricordare la passione totalizzante della sua prima giovinezza, e le giornate passate attaccato al telefono, cercando di convincere i grandi industriali della sua nativa Brianza a produrre i suoi disegni, Citterio rifiuta ogni facile arrendevolezza, mostrando più che con le parole con l’esempio che, in ogni campo e in qualsiasi situazione, la chiave per coronare le proprie passioni con il successo è provare, provare, provare.

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In questo, il metodo del designer è fondamentale. Citterio chiama «prodotti» le sue creazioni; e su questa definizione non torna indietro nemmeno quando Beppe Finessi, critico d’arte, gli ricorda che le sue opere sono esposte al Centre Pompidou di Parigi e al MoMA di New York. Il design, come l’architettura, è un’idea che esce, diventa realtà: per creare un’opera di design l’idea iniziale va scomposta, frammentata in milioni di piccole parti, ciascuna delle quali deve essere dapprima perfetta in sé stessa, e poi avere senso nell’insieme, nel mobile o nel palazzo visto da lontano. È una forma mentis lontanissima dall’ipervelocità di oggi, un metodo strutturale che valorizza il dettaglio, il lavoro di gruppo, il tempo impiegato concepito come sinonimo di qualità. Citterio non si è mai chiesto quale fosse il suo stile, il suo pensiero è sempre stato concentrato sulla singola opera. Ed è così, opera dopo opera, che ha costruito una carriera basata su rapporti durevoli con i propri clienti, sull’importanza del contributo individuale e della presenza nel proprio team: quella presenza fisica sul campo che oggi, nell’era dello smart working, in molti ormai considerano dispensabile e superflua. Un artigianato di altri tempi, ma applicato ai grattacieli di Milano e Taipei.

Citterio svela attraverso le sue parole e la sua storia il design come modus vivendi e metodo artistico che può essere d’ispirazione a tutti i giovani d’oggi, aspiranti artisti in un mondo dell’arte e della letteratura che sembra ormai irrimediabilmente colonizzato dalle logiche di mercato: un’arte nuova, umile, non più elitaria ma diretta a tutti, che richiama la definizione di Bruno Munari di «arte come mestiere». Come la carriera di Citterio ha unito vivibilità ed estetica, innovazione e fruizione, così i giovani artisti del XXI secolo devono affrontare le nuove sfide e cercare a tutti i costi di superarle, armati solo della propria passione. Dopotutto i designer «trascrivono esperienze, scrivono facendo»: proprio come gli scrittori.

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