Voglio una vita spericolata
6 9 2019
Voglio una vita spericolata

Brumotti si racconta a Festivaletteratura

«Amo la sfida, per me è di vitale importanza trovare sempre nuovi stimoli e modi per migliorarmi». Così Vittorio Brumotti inizia a raccontare la propria carriera di atleta e di giornalista freelance, descrivendo come la passione per la bike trial e la ricerca di quella scarica adrenalinica siano stati i due grandi leitmotiv della sua storia.

L’amore per le due ruote è iniziato prestissimo, all’età di undici anni, quando Brumotti si fece regalare dai genitori una bici da trial: «è stato il mezzo che mi fece tagliare il cordone ombelicale, un mezzo che ha soddisfatto il mio desiderio di libertà». Se da ragazzino era solito allenarsi nella sua terra natale, la Liguria, che l’atleta definisce «la mia palestra naturale», poi la passione lo ha portato a misurarsi con percorsi sempre più rischiosi, come la scalata al campo base dell’Everest o la risalita della torre Burj Khalifa di Dubai, realizzata in sella alla sua bici in due ore e venti minuti.

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I traguardi sportivi e i record raggiunti sono stati determinati da sacrificio e dedizione, da una dieta rigida e un allenamento ferreo, e da tutte quelle altre scelte di vita che lo portano a considerarsi molto più un atleta piuttosto che un personaggio televisivo. La bici però non è solo sport per Brumotti, ma anche un modo per avvicinarsi a problematiche sociali con un tono meno drammatico. Infatti, sulle due ruote ha svolto diversi servizi giornalistici dedicati alle periferie e ad altre aree di degrado urbano, interessate spesso da fenomeni di criminalità e da problematiche conseguenti, come il disagio giovanile.

Seppure in alcuni di questi servizi è stato vittima di aggressioni (come nei casi del quartiere di San Basilio a Roma, della stazione Centrale di Milano e del quartiere Zen di Palermo), l’atleta ha sottolineato come sia necessario toccare con mano e documentare in modo diretto anche le realtà più difficili, così da compiere il primo passo per «riappropriarsi di quelle aree dimenticate dallo Stato».

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