Un omaggio a Marco Santagata (1947-2020) e al suo contributo al Vocabolario Europeo
Da Petrarca a Pascoli, dal Medioevo ai capolavori di Foscolo e Leopardi: per vastità d’interessi e profondità è un grande vuoto quello lasciato negli studi letterari dalla morte dell'italianista Marco Santagata (1947-2020). Nato in provincia di Modena, a lungo docente di Letteratura italiana a Pisa, dove si era formato alla Scuola Normale Superiore, Santagata ha portato nuova luce e nuove, ragguardevoli chiavi di lettura all'interno della critica letteraria, aggiudicandosi nel 1979 il Premio nazionale Luigi Russo, nel ’93 il Premio di Storia letteraria Natalino Sapegno e nel 2007 il Premio Carducci. La lirica medievale e quattrocentesca è stata una delle costanti dei suoi studi, come anche la poesia italiana tra Otto e Novecento, senza dimenticare il suo apporto alla conoscenza di Dante, culminato nella curatela del Meridiano Mondadori dedicato al poeta toscano e nella biografia Dante. Il romanzo della sua vita, vincitrice del Premio Comisso 2013.
Non meno interessante – da Il maestro dei santi pallidi a L’amore in sé e Voglio una vita come la mia – è stata la sua opera narrativa, spesso ispirata dai grandi amori della sua vita intellettuale; una vita che a Festivaletteratura 2008 è stata co-protagonista dell’incontro I frontalieri della guerra, in cui con Clara Sereni e Simonetta Bitasi discorreva della generazione nata tra il 1946 e il 1950 e baciata da molte contingenze fortunate. Quell'anno Santagata si era unito anche agli esordi del Vocabolario Europeo, regalando all’impresa curata per quasi dieci anni da Giuseppe Antonelli la bellissima voce con cui oggi lo ricordiamo.
Stile
Marco Santagata
s., dall'italiano
«Io credo che lo stile nasca dall’esercizio, dalla fatica, dallo studio, dall’introspezione, dalla capacità di conoscersi e di tirare fuori, attraverso la scrittura, ciò che uno ha dentro: è qui che interviene lo stile, nell’esprimere ciò che uno ha dentro dandogli una forma, e la forma si può dare soltanto se si riesce a superare la fase della spontaneità, che chiamerei, addirittura, la fase della verità. Nella creazione letteraria c’è un grande fondo necessario di menzogna, ed è soltanto attraverso la finzione, che ha sicuramente in sé una dose di menzogna, che uno riesce a staccarsi dal sé, a oggettivare, a renderlo altro, a inventare un personaggio che non è più se stesso anche se conserva qualcosa dello scrittore. Tutta questa operazione porta a creare lo stile.»