Con l’umiltà di creare il niente
5 9 2019
Con l’umiltà di creare il niente

La poesia è terra di nessuno sui piedi di tutti

Festivaletteratura rinnova la sua costante attenzione verso la parola poetica attraverso un programma che vedrà presenze internazionali, cui si aggiungerà una serie di incontri con alcuni degli autori più significativi nel panorama della poesia italiana contemporanea, con esondazioni della poesia in territori artistici confinanti, quasi a testarne la vera forza espressiva.


È la quarta volta che Anna Maria Farabbi calca i palchi del Festivaletteratura. «La ragione» dice Elia Malagò, che la introduce, «è che pare di seguire insieme una strada in atto della sua poesia». La Farabbi propone i suoi ultimi lavori usciti dal 2016 al 2018. Un racconto di incontri con quelli che chiama matti-ni. Esperienze che tengono insieme il modo di scrivere poesia, di farla. Il suo percorso poetico è fatto di scelte di vita, di chiari fari che come strumenti usa con sapienza. Una vocazione dello stare al mondo nel legame indissolubile di etica, politica e talenti. Quello che con un solo termine definiamo stile. «Dal cuore dell’Appennino» continua la Malagò «si è portata a valle, in città, ogni satira ed ogni respiro nella sua forma più esplosiva e della sua poesia sorgiva portando il dialetto in linea diretta con la storia del mondo». Ascoltare e sentire in dialetto è davvero poggiare l’orecchio sui suoni più profondi del mondo in modo radicato e radicale. Nella voce di Anna Maria Farabbi questo impasto originale e inconfondibile costituisce l’odore, il colore e il sapore della parola e della sua classificazione. Fondono racconto della realtà e sogno, prosa e poesia, fino ad arrivare sul confine e da quel crinale guardare intorno. Poesia organica nella scelta della realtà laterale delle storie. L’ascolto diventa sentire, e il sentire diventa necessità di sensibilizzare. La Farabbi è inventrice di parole per quella naturale intrinseca capacità di accogliere e prestare cura, questo essere di lato sulla prospettiva sfocata del grande che affuoca il piccolo.

È appena tornata dall’India, un viaggio che le ha sradicato la parola, ma da quelle esperienze vuole partire per definirsi e definire la poesia. Un viaggio a contatto con persone emarginate, “gli ultimi”. «Posso io oggi dentro la cassa di risonanza del Festival dichiarare che quelle persone sono ultimi? Perché se così fosse, noi cosa siamo ? che ruolo abbiamo?». In questa domanda rivolta a tutti si trova la definizione di poesia. Una presenza, come un'entità, che si palesa sul piano, sul traversale a contatto con l’emarginato. La poesia vibra corporalmente dentro l’aria costituendo davvero un corpo collettivo che congiunge il primo con l’ultimo. Porta a fuoco l’urgenza del bisogno di fare ponte con individui «che vanno oltre il proprio limite» riuscendo ad abbattere la necessità di razionalizzare ciò che si incontra.

«Quando una poeta porta il vento c’è una verità tatuante, toccante». La poesia toglie istantaneamente tutti gli incantesimi, ci scaraventa nel fulcro del noi. Facendo da «ponte immediato con l’io profondo e sprofondo e il noi». Ci sono tre fili che tessono le ultime opere della Farabbi: immersione, meditazione ed esperienza. Fili che raccontano di uno spogliarsi e cadere giù in se stessi , lavandosi da ogni struttura.

Gli ultimi li ha incontrati anche nei centri di cura di salute mentale con la quale ha collaborato. «Ospiti terremotati interiormente, esistenzialmente» racconta «con un registro culturale diverso. Dal celebroleso fino al docente universitario, ma calati in un mutismo rassegnato e farcito di psicofarmaci». All’interno della clinica ha composto un viaggio creativo e relazionale e alcuni degli oggetti che sono stati turisti durante il percorso di terapia li ha portati con sé al Festival e posizionati alle sue spalle, sembrano accompagnarla nel racconto. Sono degli origami a forma di uccelli. «Uccelli da terra» dice «perché non hanno capacità di prendere il volo, ma formati dai loro racconti».

Dentro la o ( Kammer, 2017), il testo che racchiude in forma poetica tutte queste esperienze parla quindi di cosa significa per la Farabbi fare poesia e viverla. Come? Vivendo con approccio poetico: «non giudicare l’altro ma leggerlo; non considerarlo né ultimo né primo ma Tu. Parlando con un ritmo di pieni e vuoti, dando corporeità e esistenza alla lingua che abbiamo in corpo e avendo fiducia all’altro».

Prima di concludere l’incontro con la lettura di qualche verso, la Farabbi presenta La casa degli scemi, (Lietocolle, 2017) un libro nato da un dono di un anziano che le offre un diario di guerra di un “individuo” maestro ambulante anarchico della prima guerra mondiale. Un pacifista che sceglie di andare a portare la lingua e la cultura tra uomini, donne, bambini e vecchi. Un racconto che segue i suoi incontri nei centri di salute mentale in particolare modo con l’ospite Carmela, con la quale instaura un legame di sincera amicizia poetica.

La poesia parla a tutti, ma a volte non siamo in grado di accorgercene. Anna Maria Farabbi ci ha ricordato, ancora una volta che la lingua e la parola fanno parte di noi e sono uno strumento che siamo chiamati ad usare con umiltà. Perché la poesia è terra di nessuno sotto i piedi di tutti.


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:


Evento 9 “Una lingua che esiste da sempre” - Evento 21 “Il teatro è un gran patto collettivo” - Evento 26 “La poesia organica” - Evento 44 “Lo zolfo della parola - I riti teatrali di Mimmo Borrelli” - Evento 50 “Sono quello che sono, sono sempre la stessa” - Evento 88 “Una scena che ho visto tanti anni fa” - Evento 101 “Gli occhi, fondali neri” - Evento 135 “Le voci della disobbedienza” - Evento 163 “Il silenzio e la luna” - Evento 188 “La poesia insegna il necessario” - Evento 217 “Ultima poesia”.

Festivaletteratura