Il bilinguismo vociante della poesia
5 9 2019
Il bilinguismo vociante della poesia

La lingua della poesia tra dialetto ed italiano

Festivaletteratura rinnova la sua costante attenzione verso la parola poetica attraverso un programma che vedrà presenze internazionali, cui si aggiungerà una serie di incontri con alcuni degli autori più significativi nel panorama della poesia italiana contemporanea, con esondazioni della poesia in territori artistici confinanti, quasi a testarne la vera forza espressiva.


Il Novecento è stato un secolo che ha operato un considerevole recupero del dialetto, in continua tensione con la lingua italiana. Giorgio Agamben, attualmente curatore della collana Ardilut, collana bilingue, indaga sulla lingua della poesia la cui essenza si scorge nel dialogo tra italiano e dialetto nuove opportunità offre la lettura, oltre dei colossi novecenteschi quali Pasolini e Zanzotto, anche dei contemporanei come Francesco Giusti, autore del libro Quando le ombre si appiccicano al muro.

La scelta del titolo mostra che la collana di Agamben intende proseguire nella direzione culturale delle riflessioni di Pasolini su linguaggio e dialetto e sul bilinguismo costitutivo della poesia italiana. Da Dante, che identificava già due lingue: quella del volgare, che i bambini apprendono spontaneamente, considerata dal poeta fiorentino la più nobile perché fu usata per prima dal genere umano e la grammatica, artificiale e che si apprende con lo studio, Agamben spiega che all’italiano corrisponde la grammatica di Dante, al volgare i dialetti.

L’ipotesi è che una sorta di bilinguismo sia parte integrante della lingua della poesia: ogni esperienza poetica del linguaggio è costitutivamente bilingue perché avvenga una rinascita dal momento di stasi del dialetto, Agamben sostiene che ci si debba nutrire di questo bilinguismo.

In Francesco Giusti, le cui poesie sono lette da Mirko Artuso al Festival, questa ipotesi trova un’esplicazione esemplare. Il poeta appartiene alla generazione di poeti che scrive tanto in italiano quanto in dialetto, dove quest’ultimo è sempre apocrifo, nascosto nelle pieghe della lingua anche quando una delle due sembra assente.

«La sfida è portare vicendevolmente la parola scritta e quella orale a dire l’una quel che non è possibile all’altra».

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I nessi sintattici sembra che siano sfaldati, la lingua asintattica e la coordinazione grammaticale è a tal punto forzata e spezzata da interrogativi, esclamazioni e incisi che nella poesia di Giusti i confini tra i vocaboli, pensieri ed oggetti paiono sgretolarsi e scivolare gli uni negli altri come una filastrocca infantile.

Giusti appartiene ai poeti che chiamano, il cui chiamare deriva sempre da un momento di difficoltà, un’ipertrofia del discorso. La sua poesia è il luogo del disfarsi della forma, in cui la parola si presenta nella sua sorgività, dove ciò che appare è la lingua stessa, la parola poesia. Come in Zanzotto, vera lingua non sta né nell’italiano che viene insegnato a scuola né nel dialetto, ma la lingua in cui le cose appaiono senza nome nel loro essere chiamate.

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Tra l’andirivieni dello sguardo sulle rispettive traduzioni in dialetto ed in italiano la poesia si mostra in una sorta di bilinguismo vociante, in cui la poesia sta nello spazio che divide le due versioni.

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Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:


Evento 9 “Una lingua che esiste da sempre” - Evento 21 “Il teatro è un gran patto collettivo” - Evento 26 “La poesia organica” - Evento 44 “Lo zolfo della parola - I riti teatrali di Mimmo Borrelli” - Evento 50 “Sono quello che sono, sono sempre la stessa” - Evento 88 “Una scena che ho visto tanti anni fa” - Evento 101 “Gli occhi, fondali neri” - Evento 135 “Le voci della disobbedienza” - Evento 163 “Il silenzio e la luna” - Evento 188 “La poesia insegna il necessario” - Evento 217 “Ultima poesia”.

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