Incipit
8 9 2021
Incipit

I libri che una volta cominciati non si possono più mettere giù, secondo autori e volontari di quest'edizione

Quando andiamo in libreria scegliamo spesso un libro nuovo sulla base dell’incipit. Alcuni classici hanno incipit memorabili universalmente riconoscibili, come quello della Recherche di Proust «Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera. A volte, non appena spenta la candela, mi si chiudevan gli occhi così subito che neppure potevo dire a me stesso: M’addormento» oppure quello di Lolita di Nabokov «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta.».

La redazione di Festivaletteratura chiede a autori e volontari quali incipit hanno catturato la loro immaginazione, spinto all'acquisto (o furto) immediato e a una lettura vorace.

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Uno degli incipit che più mi hanno folgorato negli ultimi anni - a parte i soliti, quelli giustamente citati ovunque, gli incipit dei Maestri - è quello di Shosha di Isaac B. Singer. Passeggiavo sul lungolago di Desenzano e mi sono imbattuto in una vecchia edizione usata (Biblioteca di Famiglia cristiana, se non erro) di questo romanzo. Lo apro e leggo: «Io sono stato educato sulla base di tre lingue morte - l'ebraico, l'aramaico e lo yiddish (che alcuni non considerano affatto una lingua) - e di una cultura che si sviluppò a Babilonia: il Talmud». L'ho preso immediatamente, senza che sapessi nulla di quest'autore, che peraltro all'epoca in cui lo conobbi non era stato ripubblicato da Adelphi né era così noto. Circolavano solo, nei mercatini dell'usaato, vecchie edizioni Tea, quelle con le copertine in bianco e nero e il nome dell'autroe grande, grosso e dorato. Splendide. Da quel giorno, Singer è una presenza costante nella mia vita di lettore.


Marco Archetti sarà presente agli eventi a questo link.


Uno degli incipit che sicuramente più mi ha attratta nella mia esperienza di lettrice è quello de Il profumo di Patrick Süskind.

«Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte, ecc., oggi è caduto nell’oblio. Non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.»

È un incipit semplice e geniale perché introduce fin da subito il lettore in quel mondo così crudo e al contempo surreale in cui è ambientata la storia narrata e in cui si trova a muoversi il protagonista, Jean-Baptiste Grenouille, uno dei più affascinanti e complessi personaggi che io abbia mai incontrato nelle mie letture.


«Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story. Da trentacinque anni presso carta vecchia e libri, da trentacinque anni mi imbratto con i caratteri, sicché assomiglio alle enciclopedie, delle quali in quegli anni avrò pressato sicuramente trenta quintali, sono una brocca piena di acqua viva e morta, basta inclinarsi un poco e da me scorrono pensieri tutti belli...».

Folgorante. Fu un amore a prima vista e che durerà per sempre. E' l'incipit di “Una solitudine troppo rumorosa” di Bohumil Hrabal, di cui da lì in poi avrei letto tutto. Non tanto per la carta, che ha dato da mangiare anche a me, quanto per lo stile che rompe tutti i canoni classici, che rivoluziona la punteggiatura, che colora le parole. Ecco, Bohumil Hrabal, è stato uno scrittore che non ha intinto la penna nell'inchiostro ma nella tavolozza. Uno scrittore-pittore capace di suonare tutti i tasti del cromatismo e trasportarci, quando lo leggiamo, nel suo arcobaleno fantastico.


Gigi Riva sarà presente agli eventi segnalati a questo link.


1) Omar Pamuk, Il museo dell'Innocenza

«Era l'istante più felice della mia vita, e non me ne rendevo conto. Se l'avessi capito, se allora l'avessi capito, avrei forse potuto preservare quell'attimo e le cose sarebbero andate diversamente?»

2) Aby Warburg, Il rituale del Serpente

«Come un vecchio libro insegna

Atene e Oraibi erano parenti»

3) Richard Power, Il sussurro del mondo

«All'inizio non c'era nulla. Poi c'era tutto. E poi, in un parco sopra una città occidentale dopo il crepuscolo, piovono messaggi nell'aria.»

4) Emanuele Coccia, La vita delle piante

«Ne parliamo appena e il loro nome ci sfugge. La filosofia le ha spesso trascurate, per disprezzo più che per distrazione.»


L'incipit di uno dei miei libri del cuore è quello de L'ombra del vento di Zafón:

«Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere il Cimitero dei Libri Dimenticati. Erano le prime giornate dell'estate del 1945 e noi camminavamo per le strade di una Barcellona intrappolata sotto cieli di cenere e un sole vaporoso che si spandeva sulla rambla de Santa Monica in una ghirlanda di rame liquido.»


L’incipit che mi ha colpito di più è sicuramente quello della Divina Commedia di Dante: «Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita.» Come non ritrovarsi nelle parole di Dante ogniqualvolta si perde la strada? La musicalità del verso si accompagna a un senso di smarrimento che l’autore trasmette al lettore. Al contempo veniamo incuriositi e invogliati a proseguire nella lettura per scoprire le avventure del protagonista-viandante. Infine, la scelta del termine “smarrita” ci rincuora sull’esito dell’impresa: la via è “smarrita”, ma non “perduta”.


Prima di acquistare un libro leggo sempre l’incipit e il finale, da quelli mi sembra di scorgere se per me valga la pena di imbarcarmi o meno nella lettura. Ecco alcuni dei miei incipit preferiti:

- L’amante, Marguerite Duras: «Un giorno, ero già avanti negli anni, in una hall mi è venuto incontro un uomo. Si è presentato e mi ha detto: La conosco da sempre. Tutti dicono che da giovane lei era bella, io sono venuto a dirle che la trovo più bella ora, preferisco il suo volto devastato a quello che aveva da giovane».

- L’eredità di Eszter, Sàndor Màrai: «Non so che cosa mi riservi ancora il Signore. Ma prima di morire voglio narrare la storia del giorno in cui Lajos venne per l’ultima volta a trovarmi e mi spogliò di tutti i miei beni. Rimando ormai da tre anni la stesura di questi appunti. Ora invece mi pare che una voce, contro la quale mi sento impotente, mi esorti a descrivere gli eventi di quella giornata e a riferire tutto ciò che so di Lajos, perché è mio dovere e il tempo a mia disposizione è contato. E’ una voce inequivocabile. Dunque obbedisco, nel nome del Signore».

- L’amore ai tempi del colera, Gabriel Garcia Marquez: «Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori inconstrastati.Il dottor Juvenal Urbino lo sentì non appena entrato nella casa ancora in penombra, dove si era recato d’urgenza a occuparsi di un caso che per lui aveva smesso di essere urgente già da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e suo avversario di scacchi più compassionevole, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro d’oro. Era ancora troppo giovane per sapere che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato. Ma era lì. Voleva trovare la verità, e la cercava con un’ansia appena paragonabile al terribile timore di averla trovata, sospinta da un vento incontrollabile più imperioso della sua alterigia congenita, più imperioso persino della sua dignità: un supplizio affascinante».


Non mi sono mai fidata di un incipit spettacolare né di uno mediocre, perché spessissimo i libri - come le persone - sanno rovesciare la prima impressione; però mi capita spesso, all'inizio di un nuovo libro, di leggerne l'ultima parola, o le ultime righe, e di provare a immaginare lo spazio tra l'incipit e l'excipit, il percorso che mi aspetta. Ecco un esempio da L'anno del pensiero magico, di Joan Didion, che inizia dicendo: «La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita come la conoscevi è finita.». E finisce così: «Dovevi sentirla cambiare, la marea. E dovevi abbandonarti al cambiamento. Me lo disse lui. Nessuno guarda il passerotto, ma questo me lo disse lui.». Affascinante, no?


L’incipit che mi ha maggiormente colpito e che spesso ritrovo citato anche in altri testi o articoli di giornale per la forza comunicativa che possiede è quello che apre il famosissimo romanzo di Lev Tolstoj Anna Karenina: «Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.»

Inoltre, un altro autore che ammiro moltissimo per i suoi incipit coinvolgenti e destabilizzanti al medesimo tempo è lo scrittore di lingua tedesca Franz Kafka. Come rimanere insensibili all’incipit de La metamorfosi «Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo» o impassibili alla frase introduttiva de Il processo «Qualcuno doveva aver denunciato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato»?


Senza incertezze, l’incipit che mi ha più sconvolta è stato quello de Lo straniero di Camus: «Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti." Non significa niente. Forse è stato ieri.» Un incipit in grado di demolire il protagonista-narratore in sole due righe, ho pensato subito: come posso ora fidarmi di uno che nemmeno ricorda quando è morta sua madre?»


Scelta difficile, ma la più istintiva mi porta da Gregor Samsa e da Andrea Dileva, due protagonisti il cui risveglio non è stato dei migliori.

«Gregor Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi.»

(Da Le Metamorfosi di Franz Kafka).

«Una mattina, dopo sogni inquieti, Andrea Dileva si era svegliato nel suo letto, senza il cuore. La sveglia suonava, la luce del giorno cresceva, i muri crepitavano di altri risvegli, su altri piani, sopra e sotto, ma lui e Laura continuavano a tenere gli occhi chiusi.»

(Da Il cuore non si vede di Chiara Valerio)



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