Isole di silenzio: L'eremo di Jean Baptiste a Santa Croce
22 6 2017
Isole di silenzio: L'eremo di Jean Baptiste a Santa Croce

La quinta parte del lavoro scelto dalle giurie dei pitching di Meglio di un romanzo

Come raccontare luoghi di solitudine lontani dal caos, spazi di raccoglimento che continuano a essere teatro di scelte radicali, per molti versi in controtendenza rispetto alla frenesia e alla distrazione di massa del nostro tempo? Isole di silenzio di Melissa Magnani è il lavoro scelto nel 2016 dalle giurie dei pitching di Meglio di un romanzo, il progetto pensato da Festivaletteratura per promuovere tra i più giovani il giornalismo narrativo e organizzato in collaborazione con LUISS Writing Summer School. La quinta parte del reportage – pubblicato a puntate sul nostro sito – è la storia dell'eremita Jean Batipste, immerso nella quiete che circonda la piccola chiesa di Santa Croce a Valsamoggia.

IL SILENZIO È UN NIDO
[di Melissa Magnani]

L'eremo di Jean Baptiste è un nido. Di pietra, erbe, sassi, all'ombra di un campanile. Si trova dove le colline si fanno più alte. Jean Baptiste pare un merlo, vestito di un tabarro nero, con un cappuccio sul capo. Ha occhi pieni di stupore, un accento francese. Dice che accanto alla sua camera sono venuti i passeri a fare il nido. La casa di Jean Baptiste è riparo per gli uccelli.

(caricamento...) [video in collaborazione con Matteo William Salsi]

Jean Baptiste è nato in Provenza e fin da bambino amava il silenzio. In estate andava con la madre alle grotte di Sainte Baume, dove si diceva che Maria Maddalena avesse vissuto gli ultimi anni da eremita. Osservava una grande croce nella roccia. Pensava al futuro.
«C'era una grande croce, immensa, ed io guardandola ho detto: non ti conosco bene, ma secondo me ti conoscerò molto bene dopo. Ed ho iniziato un dialogo interiore con la croce. La croce mi ha sempre colpito. Adesso so perché, ma allora non sapevo spiegare la mia emozione. La storia è strana. Quando poi ho visto alla tv un documentario su un eremita tra le montagne, ho detto a mia madre: io voglio fare questo quando sarò grande. Avevo sette anni».

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Sulla collina di Jean Baptiste c'è silenzio. È un silenzio di alberi e voli, non un silenzio che parla di solitudine. Jean Baptiste conosce molti tipi di silenzio, quello dei monasteri e della natura. Ha attraversato molte solitudini prima di approdare qui. È stato monaco a La Grande Chartreuse, a Grenoble. Lì il silenzio era la regola, un silenzio duro, faticoso, difficile. Poi Jean Baptiste si è rifugiato in un eremo a 1200 metri, in Francia, tra cime innevate. E il silenzio era pioggia e pietra, era il verso di animali notturni e randagi. Poi a Napoli. Poi in Siria. Poi in Libano. Lì abitava in un santuario vicino alla caserma. Di giorno aiutava in ospedale. Di notte leggeva la Bibbia. A volte camminava. Il silenzio era nella città, nei vicoli. Il silenzio era nei giorni di prigionia. Era in una ferita sulla pelle. In uno sparo che ha squarciato la notte e lo ha colpito a una gamba.

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Ora Jean Baptiste è l'eremita di Santa Croce. È dovuto migrare. Ma pensa spesso a quei luoghi, sono ancora nei suoi occhi. Ora Jean Baptiste si alza nel cuore della notte. Indossa i suoi abiti, stoffe lunghe fino ai piedi. Le croci al collo. Rimane in silenzio, fa deserto intorno a sé.
«Mi chiamo Jean Baptiste. Giovanni Battista è la voce che grida nel deserto. Io sono sempre nel deserto. Tutto ora è deserto. Anche nel mercato, nella città, c'è deserto. Perché le persone non ascoltano più. Oggi siamo nei tempi di Babilonia, siamo divisi come a Babilonia. Siamo divisi nella religione, nei comportamenti. Non ci capiamo più gli uni e gli altri. Siamo tutti così concentrati sul nostro io. Abbiamo dimenticato. Dobbiamo tornare alla sorgente delle cose, alla semplicità».

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Le sue stanze sono spoglie. Non ha acqua calda. Finestre socchiuse, luce tenue. C'è un cannocchiale sul davanzale.
«Per guardare i caprioli di notte. Per me Dio è lo sguardo di un capriolo. Una notte stavo sdraiato sotto un albero, mi ero addormentato. E quando mi sono svegliato, c'era sopra di me il muso di un capriolo che mi guardava. Io credo che Dio sia negli occhi dei caprioli».
Nella sua camera icone ortodosse, libri ovunque. Una pietra a terra, trovata nei boschi. Jean Baptiste l'ha presa e, tenendola in braccio, l'ha portata qui, accanto al suo letto. Su questa pietra si inginocchia per pregare, le mani alla fronte. Palmo contro palmo, dita intrecciate. Pronuncia preghiere in latino. Sulla porta è appesa una composizione con scritto «Frère Jean», dono di un bambino.
Jean Baptiste abita ogni angolo del suo nido. Attraversa i corridoi, apre le porte e i lembi del suo tabarro veleggiano insieme a lui, riempie il silenzio dei suoi luoghi, prega, dipinge. Ci sono croci sugli stipiti delle porte e sulle pareti. Le ha tracciate lui, portano l'impronta dei suoi polpastrelli. Sono un segno primitivo, forte e suggestivo.
«La croce è una scala che ti porta al cielo. Alla mattina mi metto davanti alla croce e dico: Padre Nostro. E dire Padre Nostro vuol dire mettersi al posto del bambino. Sono come il bambino che chiama il padre».
Silenzio è essere bambini sempre, possedere la lingua dei bambini, che svelano senza troppo dire, che hanno parole nelle mani.
«Io sono qua per sentire le domande. Sono molto felice, quasi con le lacrime, quando arriva qualcuno e mi dice: spiegami, chi c'è dentro, perché. Sono i bambini che mi dicono così. Ma siamo tutti bambini, con la sete di scoprire le cose. I bambini sono curiosi e semplici, ti prendono la mano, si fidano di te».
Gli occhi di Jean Baptiste sono occhi di bambino. Le sue parole hanno la bellezza delle cose semplici, pure. I suoi passi camminano in solitudine, senza paura.
«Io non mi sento da solo. Quando sono in chiesa sento tutti gli angeli che sono miliardi. Come posso sentirmi da solo?».

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Il silenzio nell'eremo di Jean Baptiste ha il suono dei battiti d'ali. Un cinguettio lieve, al di là della parete, in quella stanza abitata dai passeri. Non esiste qui un silenzio vuoto, ma vivo e denso. Ogni cosa porta in sé una storia, un mistero. Così i segni che Jean Baptiste traccia sulle pareti. Così le croci di legno appese ai chiodi, costruite con le grucce degli armadi. Così le ceste sospese al soffitto. Tutto, nel silenzio di Jean Baptiste, è volo e mistero. E lui è l'eremita dei nidi, che sa costruire il proprio riparo dal rumore in ogni parte del mondo. Dalla Francia, al Libano, a questa collina. E il silenzio diviene richiamo per gli uccelli, dialogo con il cielo.
«Sono sempre in dialogo con Dio. Il silenzio non è una cosa vuota, il silenzio è un dialogo. Come dice il profeta Isaia, quando inizia il silenzio dentro di te, inizia il momento in cui Dio parla».

(caricamento...)

Quando rimane in silenzio, le labbra di Jean Baptiste si fanno sottili. Il capo rasato, il cappuccio scuro. Il suo sguardo si posa sulle cose, rincorre volti di santi stigmatizzati e pareti bianche. Le sue pupille sono attente, come dietro ad un cannocchiale a rincorrere caprioli nella notte, a catturare ciò che non si può vedere. E il suo eremo è riparo dal vento. È un nido costruito sul ramo più alto, più vicino al cielo.

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Tutte le puntate di Isole di silenzio:

Meglio di un romanzo rientra nelle azioni del progetto Diciotto+, realizzato con il sostegno di Fondazione Cariplo.

Festivaletteratura