La gioia condivisa
10 9 2016
La gioia condivisa

Evento 172

«All’inizio era il dono, e il dono era con Dio e il dono era Dio…». Tutto è stato dono, dono della creazione, dono di luce, doni cosmici, doni atomici. E poi la terra. E poi l’uomo. Ma la terra tremava perché non sapeva se l’uomo era davvero dono oppure no. Perché noi usiamo i doni solo come oggetti, li sfruttiamo, li schiacciamo sotto i piedi. In quest’ottica parte il pensiero di Matthew Fox, descritto nel prologo del suo ultimo libro, letto da Gianluigi Gugliermetto.

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Antonietta Potente, presente insieme all’autore per parlare della rivoluzione della gioia, sposta un poco l’attenzione anche sulla “sete”. Parlando dell’episodio della Samaritana, tutti in quella scena hanno sete, la donna, lo stesso Gesù, gli altri personaggi, il luogo e anche il tempo. E l’acqua diventa un soggetto di vita eterna che appartiene a tutti. L’importante quindi è imparare a vivere insieme. E dobbiamo chiedere l’esperienza dell’anima proprio ai popoli che “vengono.” La sete è la fonte della rivoluzione e la gioia ne è l’effetto. Il processo di rivoluzione viene fatto perché tutti abbiano la gioia. Perché tutti possiamo vivere nella giustizia. E questo è un chiaro riferimento alla teologia della liberazione così diffusa in Sud America e che abbiamo già potuto conoscere a Festivaletteratura nell’incontro con Frei Betto.

Fox riprende il discorso puntualizzando che si tratta ovviamente di qualcosa di profondamente “trasformativo”, perché la gioia può trasformare una persona e quindi la società. Tommaso d’Aquino disse che la gioia è l’atto più nobile. Ma se la gioia è il nostro atto più nobile, perché non costruiamo attorno a questo concetto? Perché è il pessimismo il vero problema. Il patriarcato ha soppresso la creatività, il lato femminile della divinità, e ha permesso che il pessimismo avesse campo libero. L’uomo è l’animale più triste, pieno di ansie e non riesce mai a chiamare la gioia. Per questo ama le armi e le conosce tutte per nome. E l’uomo può anche andare sulla Luna o su Venere, ma porterà sempre con sé solo il pessimismo. E non è bello portare tristezza e bruttezza su Venere. Ci perdiamo sempre e solo nelle cattive notizie. Nessuno parla della gioia, tutti parlano di Trump. Proprio in un periodo come il nostro che avrebbe estremamente bisogno di messaggi e messaggeri di gioia. E Gesù era uno di questi.

Il Vangelo di domani parla proprio di questo, della gioia di ritrovare la pecora smarrita, la moneta persa e il figliol prodigo che è tornato. E questa sete di gioia si trova ovunque nel Vangelo. Sempre Tommaso disse che Dio è supremamente gioioso e per questo cosciente. Quando siamo gioiosi, non siamo anche noi profondamente consapevoli? Se non ricominceremo ad essere in questi stati d’animo, saremo condannati a creare e ad essere sempre più stupidi e pessimisti. Perché il caos è solo il preludio alla creatività, e quindi la rivoluzione (che genera sempre caos) è utile proprio per liberare la creatività oppressa. Non è forse anche la morte di Gesù il trionfo del caos? Poi però venne la resurrezione e la salvezza. La gioia. E la gioia condivisa è Dio. Infatti, quando siamo felici, non sentiamo la necessità di condividerla? Dio stesso aveva così tanta gioia che non poteva far altro che creare tutto per poterla condividere. La gioia e la giustizia sono fratello e sorella perché la giustizia è la condivisione della gioia stessa (anche qui un riferimento alla teologia della liberazione). Così da non doverci più definire l’animale più triste del creato.

Dobbiamo continuamente osare, dobbiamo superare il lutto, la tristezza, la negatività che ci impone la società. Dobbiamo “avvicinarci”, perché è l’avvicinamento la vera rivoluzione. Avvicinarci a tutte le situazioni che viviamo, al prossimo, compensare l’assenza, la malattia egocentrica dell’isolamento. Con il silenzio e la contemplazione, aprendo i nostri cuori e allontanando il nostro ego per poter dare e ricevere. Espandendo il nostro coraggio, il nostro animo, la nostra gioia. Dobbiamo uscire e ascoltare. Andare al di là del limite. Facendo poesia, cercando di non fermarsi alla superficie della vita. Perché le cose più sono profonde e più sono parlanti.

Festivaletteratura