La violenza discreta della colonialità
8 9 2023
La violenza discreta della colonialità

Riflessioni per un'architettura non neutrale

Che cos’è un deserto? Che cosa lo rende tale? E, soprattutto, i deserti sono davvero vuoti?

Dopo una lunga collaborazione a distanza, i professori Camillo Boato e Samia Henni si incontrano per la prima volta a Festivaletteratura e ripercorrono in compagnia di Camillo Magni alcuni temi cardine delle loro ricerche per collegare i luoghi più aridi e – apparentemente – vuoti del mondo alla colonialità, al potere e all’architettura in toto.

Deserts Are Not Empty è un volume originalissimo e ricco di suggestioni multidisciplinari, di cui Henni ha curato ogni particolare, dal layout e dai font alla selezione di poesie in lingua originale che accompagnano tutti gli interventi. I vari autori hanno scelto i propri deserti personali, proponendo ambienti molto diversi sparsi per il mondo: deserti di sabbia o ghiaccio, oceani, la Foresta amazzonica, la Carelia. Comune denominatore per ogni regione proposta è l’approccio delle istituzioni, ancor più se coloniali, e la mentalità generale: c’è sempre la tendenza a negare o minimizzare le forme di vita esistenti, la flora e la fauna, le popolazioni autoctone. Tutti questi elementi vengono ritenuti “minori e marginali” per potere operare senza fastidi. I deserti non sono vuoti, ma l’uomo li considera tali per occuparli, manipolarli, sfruttarli e inquinarli. E, proprio perché in questi luoghi si muovono vite e storie che i radar istituzionali e le narrazioni mainstream tendono a ignorare, l’impatto umano su questa vuotezza è una forma di «violenza discreta» e silenziosa. Come ricorda Henni al pubblico, gli esperimenti francesi con le bombe nucleari nel Sahara algerino hanno inquinato l’ambiente per secoli e hanno conseguenze transgenerazionali sulla popolazione locale, spesso inascoltata dai governi coinvolti. Anche perché, come precisa Boato, la colonialità è una logica culturale che domina e spoglia, trascendendo il proprio periodo storico.

E come si inserisce l’architettura in queste riflessioni sul peso della colonialità?

In Architecture of Counterrevolution: The French Army in Northern Algeria, Henni ricostruisce le modalità con cui durante la Rivoluzione (per l’Algeria) o Guerra (per la Francia) algerina ogni forma di architettura sia stata utilizzata (da un singolo muro alla pianificazione di intere città) per dominare spazialmente la popolazione tra il 1954 e il 1962. In mano alle istituzioni coloniali, la creazione dei “mille villaggi” (mille villages), la distruzione di bidonville, la costruzione di abitazioni di massa e altri interventi in Algeria hanno fatto parte di un processo violento di colonialità e controllo assoluto, secondo un modello di guerra totale esportato a livello globale che ha ispirato anche l’intervento statunitense in Vietnam.

In questo senso, Boano ricorda al pubblico di Festivaletteratura come l’architettura non sia mai un terreno neutrale: può essere influenzata da correnti o pensieri politico-sociali, propone spesso un’idea univoca del bello, ha come cardini centrali il progresso e la produttività. Eppure, come scrive in Progetto Minore e Decoloniare l’urbanistica, l’architettura nella sua definizione più ampia dovrebbe abbandonare i suoi modelli fissi e dialogare con immaginari e approcci differenti, in termine di genere, identità, geografie et alia. Perché ciò che appare minore nella storia dell’architettura (e del mondo) non è qualcosa di marginale, ha solo un’intensità diversa.

Festivaletteratura