Mitragliavo energia da tutte le parti
5 9 2019
Mitragliavo energia da tutte le parti

Tra sarcasmo e dramma, tra commozione e sorrisi suonano le ultime quartine della Valduga

Festivaletteratura rinnova la sua costante attenzione verso la parola poetica attraverso un programma che vedrà presenze internazionali, cui si aggiungerà una serie di incontri con alcuni degli autori più significativi nel panorama della poesia italiana contemporanea, con esondazioni della poesia in territori artistici confinanti, quasi a testarne la vera forza espressiva.


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«Non sono una di quei poeti che scrive sempre versi, io sono stata anche 7 anni senza scrivere, poi succede che nella mia testa ci sono solo versi e tutto quello che vedo diventa versi e diventa una cosa importante - oddio ho detto "importante". Quanta energia, Dio che carica che avevo». Con disarmante semplicità Patrizia Valduga spiega il suo ritorno al verso, la genesi di cento quartine nate quasi spontaneamente in soli 10 giorni di pura ispirazione, dopo 7 anni di silenzio poetico.

Belluno, Andantino e grande fuga è stato il prendere forma di un'urgenza, l'urgenza di esistere che incontra quella del dire: «mitragliavo energia da tutte le parti, poi sono tornata normale». Ma, al contrario di quanto sostiene l'autrice, in sala questa energia è ancora tangibilmente presente. Patrizia Valduga trasmette per intero la sua gratitudine alla forma poetica, la sua devozione nei confronti della parola pura. La sua voce vibra a ogni verso letto, ad ogni parola che parla di poesia.

Si presenta come nella copertina della sua ultima raccolta, completamento in nero, con l'immancabile cappello e i guanti velati. Ci si aspetterebbe qualcosa di ombroso, ma non è difficile capire già dalle prime battute che Patrizia Valduga non si prende così sul serio - «sono rincoglionita», «che cazzate che sto dicendo». È lei stessa, prima ancora della sua poesia, immagine di quel Galgenhumor, l'umorismo nero di cui si parla in quarta di copertina e che connota tutta la raccolta, costantemente teso tra dramma e sarcasmo.

Spiega che il verso nasce quando si raggiunge quello che la fisica chiama «il punto di sella», un momento di equilibrio tra la «logica razionale» e «logica irrazionale», per dirla con Blanco. Recita in fārsī una poesia del poeta persiano Omar Khayyâm per far capire che «c'è un punto tra ebbrezza e sobrietà: / lui mi possiede, lui solo è la vita». La poesia si colloca in quel raro e prezioso momento di armonia dove la pazzia riesce a parlare con razionalità.

Poi, la lettura di qualche verso della raccolta: la Valduga estrae un foglietto stropicciato da un piccolo marsupio e recita a memoria e con trasporto alcune delle cento quartine, ininterrottamente, come questa raccolta sembra autoritariamente richiedere di essere letta. Si interrompe, spiega che in Belluno ci sono tre Giovanni. Il Giovanni protagonista di Ordet, film del danese Theodor Dreyer, un pazzo che si crede Gesù Cristo; il Don Giovanni di Da Ponte e, «ovviamente», Raboni «il mio maestro, e anche il mio amore». E poi continua la lettura.

Dopo l'immersione nei suoni e nei temi delle quartine, la Valduga torna a dialogare con Silvia Righi. Si affrontano con spontaneità e leggerezza i molteplici temi trattati in quei soli 400 versi: l'importanza dell'attività da traduttrice, la disapprovazione della critica letteraria contemporanea, «non esiste più la critica seria», la forza e la potenzialità della poesia dialettale. Ma si parla soprattutto di quella che Raboni aveva chiamato «la comunione dei vivi e dei morti». Belluno è una raccolta che pullula di assenze, di solitudine vissuta con ironia, in compagnia dei «morti che mi tengono in vita» e tra loro su tutti Raboni. Una presenza nitida, un'assenza che colma.

La Valduga si zittisce per un attimo. «Ho molta paura della morte, oltre che psicopatica sono anche ipocondriaca, le mie amiche che fanno i medici non possono parlare di nessuna malattia che mi vengono subito i sintomi» confessa, con la solita ironia triste di chi sa che avere paura di morire è quasi la prova di essere già un po' morti ma che allo stesso tempo sembra aver trovato un antidoto. «Ma quando scrivevo ero vivissima, non avevo paura di niente». La scrittura, e più precisamente la scrittura poetica, è ancora una volta la risposta, quei versi che non smettono di dare voce ai morti e speranze ai vivi.

Non c'è allora un modo più coerente e naturale per chiudere questo incontro informale di confessioni, imbarazzi autentici, voci vibranti e risate («grazie che avete riso!», dice sollevata alla sala) che recitare con la voce tremante di sempre le Canzonette mortali di Raboni e ascoltarla vibrare quella comunione e quella grazia che sa regalare la poesia.


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:

Evento 9 “Una lingua che esiste da sempre” - Evento 21 “Il teatro è un gran patto collettivo” - Evento 26 “La poesia organica” - Evento 44 “Lo zolfo della parola - I riti teatrali di Mimmo Borrelli” - Evento 50 “Sono quello che sono, sono sempre la stessa” - Evento 88 “Una scena che ho visto tanti anni fa” - Evento 101 “Gli occhi, fondali neri” - Evento 135 “Le voci della disobbedienza” - Evento 163 “Il silenzio e la luna” - Evento 188 “La poesia insegna il necessario” - Evento 217 “Ultima poesia”.

Festivaletteratura