Nani, ti avverto che non scrivo per l'ultima volta
10 9 2023
Nani, ti avverto che non scrivo per l'ultima volta

Le epifanie russo-emiliane di Paolo Nori sulle orme di Achmatova, fra censura, morfina e ironia


  • «Ma io vi prevengo che vivo
  • per l'ultima volta.
  • Né come rondine, né come acero,
  • né come giunco, né come stella,
  • né come acqua sorgiva,
  • né come suono di campane
  • turberò la gente,
  • e non visiterò i sogni altrui
  • con un gemito insaziato.»

Così recita la poesia di Anna Achmatova posta in copertina alla raccolta La corsa del tempo. Il romanzo di Paolo Nori – che sul palco del Teatro Scientifico Bibiena tesse le lodi della poetessa russa – si intitola Vi avverto che vivo per l’ultima volta, come i primi due versi della poesia qui presentata (sebbene con una traduzione leggermente diversa).

(caricamento...)

Possono essere diverse le chiavi di lettura di questa dichiarazione. Una prima è biografica: Achmatova scrive questa lirica nel 1965, l’anno prima di morire a seguito di un infarto. Una seconda è politica: il regime sovietico ha fucilato suo marito, incarcerato lei e suo figlio e decretato una lista nera di libri proibiti. “Vivo per l’ultima volta” suona come un rivoluzionario distanziamento dai rivoluzionari, l’asserzione che lei e il potere non possono collimare. Ma se considerati poeticamente, questi versi sembrano dire il contrario di ciò che intendono. L’avvertimento di Achmatova e Nori si affranca da un’impronta meramente biografica e si sublima a verità letteraria: non c’è un’«ultima volta» della letteratura, non c’è il rischio di una visita indiscreta durante la notte. Anzi, c’è la precisa volontà di essere turbati dai suoi gemiti, siano essi d’albero o di campana.

Nori sceglie di partire da dieci fotografie scattate in un recente viaggio in Russia per parlare del potere della letteratura attraverso la figura della poetessa, di cui non vuole discorrere agiograficamente. «Da Pietroburgo con apatia e indifferenza» è la formula adatta per parlare di una città che condisce ironia e gelido cinismo. «Mi piacciono le cose che mi fanno piangere: la letteratura russa e le partite del Parma» puntualizza Nori, che non manca mai di collegare le esperienze lette con le esperienze vissute. Racconta che in sessant'anni di vita, l’evento più duro che ha vissuto è stato un grave incidente nel quale il 30% del suo corpo è rimasto ustionato. In preda ai confortevoli deliri della morfina, nel Reparto Ustionati di Parma, ha rievocato un verso di Pasternak, unica cura efficace contro il dolore: «vivere una vita non è attraversare un campo». Realizzare l’intima verità di questa frase è la risposta da dare a chi continua a chiedergli perché non si rassegna di fronte ai russi.

Ma i legami non sono solo fra vita e letteratura. Gli stessi autori russi dialogano fra di loro a distanza di decenni, manifestando i loro rapporti nell’urbanistica delle città. A Pietroburgo muore Dostoevskij. Il portone che apre all’abitazione in cui è diventato scrittore non dista dalla casa di Achmatova e da quella di Tolstoj. Nella stessa città Daniil Charms, autore amato da Nori, è nato ed è stato denunciato e ricoverato. Ogni viaggio in Russia diventa quindi un pellegrinaggio per ricostruire e intrecciare le vite di letterati diversi per epoca e stile. «Leggere le poesie in traduzione è come fare la doccia con l’impermeabile» afferma Nori citando il film Paterson di Jim Jarmusch. «Eppure a volte si è costretti a farlo», commenta più rasserenato che rassegnato mentre introduce alcuni aspetti della vita della poetessa.

La storia di Achmatova è una storia di successi e censure. La poetessa pubblica la prima raccolta nel 1912 e fino al 1917, anno della rivoluzione, raccoglie consensi immediati. Negli anni seguenti si sposa, conosce Modigliani e assiste all’incarceramento del figlio. Scriverà a Stalin in persona, che lo farà liberare. La sua poesia diventa politica a seguito dell’arresto del figlio. Tuttavia, nonostante il regime sovietico abbia provocato significative lacerazioni nel suo mondo pubblico e privato, Achmatova scrive in favore di Stalin, forse per salvaguardarsi e poter continuare a pubblicare. Per Nori ha fatto bene, giacché politica e letteratura non sempre offrono la stessa lettura della realtà. Nel caso della Russia, quasi mai. Il parmense coglie l’occasione per definirsi – con una punta di giustificato vanto – «filorusso», precisando che è assurdo immaginare come questo possa implicare un sostegno all’attuale governo di Putin. La storia della letteratura russa è costellata di censure, al punto che negli anni Sessanta del Novecento proliferavano i samizdat, i libri proibiti. «Se in quegli anni regalavi un libro pubblicato ufficialmente facevi una brutta figura». L’ironico corso degli eventi ha fatto sì che Nori stesso, nel 2022, sperimentasse la censura. A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, l’Università Bicocca di Milano ha infatti cancellato le sue quattro lezioni su Dostoevskij. Esattamente come nel caso delle censure sovietiche, questo ha catalizzato l’attenzione globale su Nori: centinaia di interventi in un anno, interviste dalla Fox e dalla Cina, interessamento di una rete televisiva russa per la realizzazione di un documentario su di lui. Questo epilogo tragicomico porta lo scrittore emiliano a riflettere sulla guerra in corso. Molti gli chiedono cosa ne pensa, quali implicazioni ci sono, quando termineranno le sanzioni. «Ma io non so niente di geopolitica, a queste domande risponderei solo che non lo so». L’unica risposta che trova è nella letteratura e nella lingua che l’ha generata. Esiste infatti un termine russo, intraducibile in italiano, che evidenzia lo stretto legame esistente fra russi e ucraini: Родной (rodnoy), che significa «legato a te con le viscere», un po’ come il termine dialettale parmense «nani», espressione che rivendica un affetto uterino. L’accorato appello di Nori contro la guerra, dunque, non nasce dalla politica ma dall’arte, poiché, nelle sue parole, «la letteratura è più forte di ogni censura e dittatura»


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