Orientare lo sguardo
6 9 2019
Orientare lo sguardo

La fruizione fotografica nell'iconosfera contemporanea

Nel racconto giornalistico contemporaneo l'immagine rappresenta indubbiamente il mezzo più potente e insieme più utilizzato. La scelta di una descrizione meramente didascalica di un evento o ancor peggio di una composizione estetica che distoglie dalla comprensione di ciò che si fa vedere è spesso la soluzione più praticata da chi sta dietro la macchina fotografica. Guardare oltre la superficie, puntare l'obiettivo là dove si può trovare l'inizio di un racconto è invece la cifra etica e poetica di un fotogiornalismo che sta trovando sempre migliori interpreti a livello internazionale.

Intorno a questi temi e al concetto di visione - secondo i punti di vista non sempre coincidenti di discipline e professioni vicine all'ambito fotografico - ruoterà La libellula e il ciclope, un dittico di appuntamenti a cura di Frammenti di fotografia e Giovanni Marozzini.


Il bombardamento di immagini a cui siamo sottoposti costringe ad attuare una selezione che orienti lo sguardo del pubblico. Esiste nella storia della fotografia una bipartizione che divide le varie antropologie di lettura: da un lato la fotografia che guardiamo sulla parete di un museo e dall’altro la fotografia che guardiamo sul supporto cartaceo.

«Per quale orientamento spaziale è nata la fotografia? Funziona meglio se è messa con le spalle al muro o in ginocchio?» interroga il giornalista Michele Smargiassi.

La grande differenza tra le due correnti è che la fotografia verticale sottintende una fruizione in posizione eretta: posizione dell’attività, della caccia, dell’affronto, mentre la fotografia orizzontale è letta nella posizione dell’ozio, implicando così che l’osservatore sovrasti l’osservato. In un confronto cartesiano Giovanna Calvenzi - photo editor che ha collaborato con diverse riviste italiane - sostenitrice della posizione orizzontale, dialoga con Matteo Balduzzi - collaboratore del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo - sostenitore della posizione verticale.

Come osserva Balduzzi, anche se i punti di contatto tra le due correnti sono molteplici - dalla mancanza di totale libertà creativa dovuta a dinamiche materiali vincolanti, alla duplice natura divulgativa ed elitaria - la dicotomia salta ineluttabilmente nel 2001, con l’irruzione della macchina fotografica incorporata nei cellulari. I confini tra orizzontale e verticale non sono più nettamente distinguibili da quando i materiali elaborati nelle mostre e nei giornali possono essere consumati online. Gli utenti non sono più fisicamente nello spazio del museo né a contatto con l’oggetto corporeo: manca l’hit et nunc. Cosa comporta?

La photo editor milanese osserva che il rischio della fotografia orizzontale è quello di essere risucchiati dal solipsismo. Molto più democratica dal punto di vista sociologico risulta essere la fotografia verticale, che costringe sia ad un’interazione che essere padroni della relazione con la fotografia. Anche nella fotografia verticale diventa fondamentale ibridare la dimensione fisico-spaziale ai nuovi medium: senza innovazione tecnologica non è da escludere che l’arte non si sarebbe evoluta, ma il momento espositivo rimane imprescindibile, in quanto l’esperienza corporea ha a che fare con qualcosa di ancestrale.


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:

Evento 79 “Un tesoro ritrovato” - Evento 111 “Orientare lo sguardo” - Evento 171 “Il reportage tra giornalismo e documento antropologico” - Evento 182 “Le foto parlano al mio posto” - Evento 227 “La fotografia è un haiku”.

Festivaletteratura