Qualcuno "doveva" aver calunniato Josef K.
10 9 2023
Qualcuno "doveva" aver calunniato Josef K.

Lo spettacolo di Roberto Abbiati e Johannes Schlosser unisce sogno e fisicità, dando corpo a Il processo di Franz Kafka

Immaginate di svegliarvi, un giorno, e rendervi conto che la realtà non combacia più con le vostre percezioni. Immaginate di trovarvi chiusi nella cella della vostra razionalità, incapaci di trascenderla per capire cosa accade al di là di essa, cosa pensano gli altri. Il processo di Kafka porta all'estremo questo tipo di dissociazione: il protagonista, Josef K, si ritrova imputato in un processo per un crimine che non gli viene mai svelato. La vicenda sembra un sogno - o meglio, un incubo: quelli in cui le parole non hanno più un senso condiviso, quelli in cui si cerca di correre ma le gambe non rispondono.

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Circo Kafka, lo spettacolo di Roberto Abbiati e Johannes Schlosser, si incentra proprio su questa dimensione onirica, concentrandosi però sul tentativo di darle corpo, struttura, sostanza viva. Il corpo di Roberto Abbiati salta, si contorce, gesticola e si abbatte; ci guarda, ammicca, ride di noi, ci accusa. A volte sembra di essere noi spettatori gli imputati di un crimine che non conosciamo: ci sentiamo osservati, colpevoli di qualcosa, senza saper bene cosa.

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La parola non intercede a dar senso: come nel romanzo i dialoghi sono inutili, perché manca un terreno comune di realtà su cui costruirli, così Circo Kafka abbandona completamente la parola, sostituendola con versi disarticolati, rumori, musica. C'è solo un tentativo iniziale di trarre una conclusione logica da quanto sta accadendo: un foglietto, che reca le parole "Qualcuno doveva aver calunniato Josef K.". Poche parole, un disperato tentativo di stabilire un punto fermo, una connessione tra causa e conseguenza, prima che tutto sprofondi nel verso animale che sostituisce parole ormai inutili.

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E così, mentre Abbiati passa dall'essere Josef K. all'essere la sua guardia, dallo spietato giudice al boia, anche noi transizioniamo da un ruolo all'altro. Da imputati sottoposti al riso sardonico della guardia, in fretta ci trasformiamo nella giuria popolare che perseguita Josef K. senza sapere bene perché. Ci aggrappiamo al potere di giudicare, ma anche noi, come Josef K., non conosciamo il motivo di quanto accade. E con la mancanza della conoscenza viene sempre e comunque l'impotenza di fronte alle ingiustizie. Alla fine, è chiaro: non abbiamo il potere di giudicare Josef K., noi spettatori. Non conosciamo il legame tra causa e conseguenza, e di fronte alla casualità della vita possiamo solo arrenderci. E restare a guardare i meccanismi che portano Josef K. al suo finale.

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