Reddito di base incondizionato e welfare selettivo
7 9 2018
Reddito di base incondizionato e welfare selettivo

Dibattito Oxford Style: quali misure sono più giuste e più efficaci?

La disaffezione verso le forme tradizionali della rappresentanza politica, la rabbia nei confronti delle élites che attraversano oggi gran parte delle comunità occidentali sono sentimenti che trovano alimento nelle trasformazioni profonde che attraversano l'organizzazione dei sistemi economici e la natura stessa delle democrazie.


Nel 1823 un club di accademici e intellettuali della Oxford University, che volevano discutere di politica liberi dalle pastoie universitarie, inventò una nuova forma di dibattito. Questo format prevede che ci siano due relatori che intervengano a favore di una tesi e altri due contro. Festivaletteratura, dopo l'esperienza delle passate edizioni, ripropone oggi il dibattito Oxford Style per parlare di reddito di base. Le regole del gioco sono ferree: ci saranno tre giri di tavolo completi e, ogni volta, ciascun relatore avrà a disposizione cinque minuti per il proprio intervento. Non sono ammesse interruzioni. Il pubblico in sala voterà sia prima che dopo il dibattito per esprimere il proprio grado di adesione all’idea che lo Stato Italiano riconosco un reddito di base incondizionato. A sostenere questa proposta sono Elena Granaglia, professoressa ordinaria di Scienza delle Finanze all’Università di Roma Tre, e Andrea Fumagalli, Professore di Economia Politica e Teoria dell’Impresa all’Università di Pavia. Contro l’idea di un reddito di base sono Ferdinando Giugliano, giornalista già addottorato in economia presso l’Università di Oxford e Riccardo Puglisi, Professore di Economia Politica all’Università di Pavia. La votazione prima dell’evento riporta un chiaro scetticismo della platea: a favore del reddito di base è il 21,1% del pubblico, contro il 68,7%. Il 10,2% si astiene. Per mantenere la più rigorosa equidistanza fra le due fazioni, cerchiamo di sintetizzare ogni intervento, nell’ordine in cui sono stati effettuati.

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(Pro) Granaglia: Il reddito di base è uno strumento importante di libertà da genitori, partner, datori di lavoro e come tale è uno strumento che aiuta la realizzazione personale. Ma è pure libertà di avere un proprio portafoglio di attività lavorative diversificato, cosa molto importante oggi, che non si ha più un unico lavoro fisso. Fornendo una base di reddito, favorisce pure le transizioni da un lavoro all’altro. Va sfatata la diffusa retorica secondo cui dare reddito sarebbe assistenzialistico: “Dobbiamo dare lavoro”, si dice. Ma se sottolineiamo gli elementi di libertà, si evidenzia che poter scegliere è il contrario dell’assistenzialismo. Conta il reddito, non contano solo i servizi o avere il lavoro. Qualcuno ci dirà che il reddito di base potrebbe favorire l’ozio da parte di chi non ha voglia di impegnarsi, ma ci sono almeno tre affermazioni contrarie. La prima: John Stuart Mill, un economista liberale, ci diceva che il reddito non funziona da sedativo, ma da tonico. La seconda: la teoria dei giochi ci dice che se ci sentiamo ben trattati, perché abbiamo un reddito, ci impegniamo di più. E avere un lavoro è parte del senso della vita, per cui avere un reddito di base non risolve comunque il desiderio di realizzazione. Terza considerazione: i trasferimenti selettivi, da cui è composto il welfare tradizionale, sono più disincentivanti nella ricerca di lavoro. Ad esempio, infatti, disincentivano dal guadagnare abbastanza da superare la soglia minima sotto la quale si ricevono sussidi di povertà. Una metanalisi condotta in uno studio dell’OCSE segnala peraltro che gli effetti di disincentivo alla ricerca del lavoro prodotti dal reddito di base sono efficaci solo su una specifica categoria sociale: le donne sole con figli a carico. E allora non è così male.

(Contro) Giugliano: Ritorniamo alla domanda base di questo dibattito. È giusto dare un reddito incondizionato a tutti i cittadini? È giusto dare i soldi chiunque tu sia e qualsiasi cosa tu faccia? Il ragionamento valoriale della professoressa Granaglia mi ha riempito il cuore, ma se pragmaticamente prendiamo tutti i sussidi che ora vengono distribuiti in Italia e usiamo questa cifra per creare un reddito di base incondizionato, ogni persona riceve un sussidio di 158€, che non basta per la libertà di cui parlava. E poi, se non c’è nessun paese al mondo che applica questa idea, forse c’è un motivo. Quale? I sistemi di welfare esistenti al mondo sono molto più sofisticati di questa idea. Ad esempio, è chiaro che ci sono sistemi di welfare disegnati male, ma se prendiamo quelli disegnati bene, come quello olandese, e studiamo cosa succederebbe eliminando i sussidi per introdurre un reddito di base, vedremmo che le persone sotto la soglia di povertà aumenterebbero, anziché diminuire. Passerebbero dal 10% al 15%. Questo dato proviene dalla stessa pubblicazione OCSE citata dalla controparte.

(Pro) Fumagalli: Il reddito di base, va chiarito, non è un reddito di cittadinanza, che è condizionato. Ma è, appunto, incondizionato e dato a tutti. L’idea muove da motivi etici, filosofici, ma soprattutto da ragioni di carattere economico, che in passato non esistevano. Nel secondo dopoguerra si parlava di welfare e di piena occupazione. Si parlava di assistenza a persone, che non potevano accedere al mercato del lavoro. Oggi il contesto è diverso perché sono diversi i meccanismi di creazione del lavoro: il tempo dedicato al lavoro, certificato come tale, tende a diminuire. Ma il lavoro non diminuisce, cambia faccia, cambia pelle. I social media, attraverso le nostre interazioni, o la grande distribuzione, attraverso la raccolta dei dati dei nostri consumi, ad esempio, generano attività che generano un valore, di cui qualcuno si appropria, e che sono inserite in un meccanismo di scambio. Non sono più, come una volta, attività improduttive - valore d’uso, diceva Marx. La vera differenza oggi non è fra chi lavora e chi no, ma fra chi fa un lavoro gratuito e chi fa un lavoro remunerato. Occorre quindi prendere atto che buona parte della ricchezza viene prodotta gratuitamente, come scelta coatta. E va remunerata.

(Contro) Puglisi: Non possiamo sommare mele con pere: contano i beni e servizi che noi produciamo e compriamo. Conta il reddito pro capite, che si calcola moltiplicando i beni prodotti per il loro prezzo, al netto dell’inflazione, e dividendoli per il numero di persone nel nostro Paese. Dobbiamo pensare alla concretezza del nostro benessere e il fatto che il benessere sia scarso dipende dal fatto che la produttività italiana è bassa. È la stessa di 20 anni fa. Se il nostro benessere fosse una torta, non dovremmo preoccuparci solo di come distribuirla, ma capire se alcuni interventi, come il reddito di base, potrebbero ulteriormente diminuire la sua dimensione, facendo decrescere il benessere totale. Il problema è la produttività. E che siamo poco produttivi.

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(Pro) Granaglia: Vero, ma ciò che noi produciamo dipende in gran parte dalle risorse ricevute, che sono comuni a tutti. Noi difendiamo il fatto di dare un reddito di base differenziato, diverso a seconda delle condizioni individuali, ma una parte di questo reddito deve essere uguale per tutti. Il problema dei sistemi di welfare selettivi, poi, si vede pure nel caso della Danimarca, ha almeno tre fonti: primo, l’arbitrarietà della soglia di povertà, per cui non esiste nessuna scala di equivalenza che possa rendere uguali i redditi di tutti attraverso interventi selettivi. Secondo: i sistemi selettivi hanno un serio problema di falsi negativi, cioè di soggetti che non accedono ai sussidi, pur avendone diritto, per lo stigma sociale di essere definiti poveri. Nell’Unione Europea questi falsi negativi valgono il 40% dei casi, mediamente. Terzo: i forti disincentivi al lavoro, di cui parlavo prima. Infine: vero che il lavoro dell’OCSE citato dalla controparte dice che in molti Paesi introdurre un reddito di base aumenterebbe le persone sotto la soglia di povertà. Ma va detto pure che lo stesso studio dice che la situazione, in Italia, migliorerebbe. Siamo una eccezione, ma noi siamo appunto in Italia.

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(Contro) Giugliano: Rispondo alla controparte, anche se non capisco questa grande fiducia nell’importanza di distribuire una somma a tutti, perchè siamo uguali, unita a una enorme sfiducia verso il modo in cui lo Stato fa le cose. Ma rispondo alle obiezioni. La prima: non capisco il problema della soglia arbitraria. Ogni sistema è migliorabile, ma questo non significa non provarci nemmeno. Secondo: la difficoltà ad accertare il reddito. Dobbiamo migliorare i sistemi impiegati dallo Stato e capire davvero quanto ogni persona guadagna. Facciamo i sistemi per il reinserimento al lavoro. Se il welfare attuale non è ottimo, miglioriamolo, ma non possiamo accettare la sconfitta di buttare via tutto. Terzo: noi non vogliamo obbligare a lavorare. Vogliamo, anzi, che ciascuno abbia aiuti seconod le sue necessità. I disabili, ad esempio, che possono essere in condizioni di grande difficoltà, devono ricevere sussidi proporzionali alla gravità della loro condizione, e vivere una vita degna anche senza esser costretti a lavorare.

(Pro) Fumagalli: È vero che in Italia abbiamo una bassa produttività, ma dipende dai settori manifatturieri, che valgono il 25% della ricchezza prodotta. Il 5% è dato dall’agricoltura, il 4% dalle costruzioni. Il resto dipende da servizi e economia immateriale, che valgono i due terzi della ricchezza prodotta in Italia. Google, Amazon e Facebook sono società che producono immaterialità e sono le società a maggiore capitalizzazione di borsa. Se l’Italia ha bassa produttività, quindi, è perché è calcolata su settori saturi. In Italia lavoriamo mediamente 1700 ore annue, secondi solo ai greci. E abbiamo pure i salari più bassi, perché la carenza di produttività è dovuta all’eccesso di precarizzazione del lavoro proprio in quei settori ad alto tasso di conoscenza, in cui servirebbe invece continuità di lavoro. Non si tratta di flessibilità. La flessibilità è positiva, se accompagnata da elementi di sicurezza e di continuità di reddito. La precarietà non fa investire nel miglioramento della propria produttività, perché in ogni momento si potrebbe cambiare lavoro. Il reddito di base remunera questa formazione continua. Oggi infatti non c’è differenza fra welfare e mercato del lavoro, mentre una volta costituivano addirittura due ministeri.

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(Contro) Puglisi: L’economia studia gli incentivi, che sono le regole che ti spingono a fare qualcosa. Io, ad esempio, quando facevo il servizio civile, un giorno ho finito tutto quello che dovevo fare alle 2, ma i miei capi mi hanno impedito di andare a casa fino alle 5, perché così diceva il contratto. Il giorno dopo ho lavorato con molta più calma, perché il sistema di incentivi mi spingeva in quella direzione. Ecco, sul reddito di cittadinanza vale la stessa cosa. Il reddito di cittadinanza disincentiva a lavorare. È giusto aiutare le persone che ne hanno bisogno, ma bisogna mantenere inalterati gli incentivi ad apprendere e a lavorare.

(Pro) Granaglia: Vorrei dei dati: ai tempi di Nixon si fecero degli esperimenti su misure simili al reddito di base. I dati sugli incentivi di questi esperimenti sono molto diversi da quelli degli aneddoti personali. Inoltre, sul caso olandese, bisogna aggiungere che l’Olanda è un paese virtuoso per quello che riguarda la distribuzione primaria del reddito, che ci dice quanto il mercato è in grado di redistribuire il reddito. In Olanda ci sono pochi poveri anche perché il mercato è efficiente e frea pochi poveri.

(Contro) Giugliano: La Granaglia dice che bisogna migliorare il sistema di welfare selettivo. Bene. Ma torniamo alla domanda di base, che riguarda il reddito di base incondizionato. Non sto parlando di precarietà. Dico che un buon sistema di welfare sia meglio, perché non va a dare i soldi a tutti quanti, ma a chi ne ha bisogno. Dare soldi a tutti quanti sarebbe una clamorosa ammissione di sconfitta da parte dello Stato.

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(Pro) Fumagalli: Devo dire che sono in un programma di ricerca finanziato dall’Unione Europa, che si occupa di reddito di base. Il caso olandese è fra i nostri casi studio e devo dire che in Olanda esistono forme di reddito di base lievemente condizionate. A studenti e artisti, ad esempio, è dato un reddito di base dell’ordine di 7/800 euro. È un investimento sulla loro capacità. Un buon sistema di welfare fa un buon mix fra forme di reddito di base e non. In Olanda, poi, la situazione è molto peggiorata negli ultimi anni, a causa proprio dello stigma di povertà: molti poveri si vergognano di esserlo e quindi non accedono al reddito cui potrebbero accedere. Il nostro welfare è basato sulla struttura della grande fabbrica, ma molti precari sono fuori dal sistema, che è anacronistico. Il reddito di base non è in contrapposizione al salario. L’essere umano non è rivolto all’ozio, ma al massimo all’otium latino, come negazione del negotium. E mentre gli incentivi della teoria neoclassica sono volti allo sfruttamento dei lavoratori, noi vogliamo persone che si realizzino. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. E loro vogliono farci vivere come bruti.

(Contro) Puglisi: Torno al tema dell’aumento della produttività. Nel 2180, quando tutta la produzione sarà realizzata da robot, e chi avrà i robot guadagnerà molto, avrà senso pensare al reddito di base. Anche se poi la vita ha problemi di dignità, se non abbiamo più bisogno di lavorare. Ma noi siamo in una epoca diversa, in cui dobbiamo pensare a far funzionare bene l’economia di mercato. Bisogna distribuire bene le risorse, perché sono scarse e gli incentivi contano, visto che col lavoro creiamo benessere.

Alla fine dell’evento si vota di nuovo. I contrari al reddito di base sono sempre ampia maggioranza, ma diminuiscono, così come gli astenuti. I favorevoli aumentano: PRO: 26,5% - CONTRO: 64,8% - ASTENUTI: 8,7%


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:

Evento 25 “Europa, sovranità e democrazia” - Evento 26 “Classi dirigenti e classi subalterne in Italia” - Evento 126 “I nuovi sfruttati” - Evento 150 “La gente e il decoro” - Evento 202 “Un’economia senza peccati”.

Festivaletteratura