Se le mura del carcere fossero di vetro
8 9 2023
Se le mura del carcere fossero di vetro

Ripensare la detenzione per ridare dignità

Non c’è altro modo per dirla: i detenuti sono i Grandi Rimossi della nostra società. Il pensiero della reclusione dietro le alte mura è ormai respingente a tal punto da provocare timore e sdegno e venire filtrato quotidianamente dai media. Le notizie che ci raggiungono dalle carceri riguardano solo due eventi specifici: i suicidi o le rivolte. Eppure, la condizione dei detenuti negli istituti penitenziari dovrebbe riguardare tutti noi. Ne parlano in una Piazza Castello gremita e partecipe il fumettista Zerocalcare e Luigi Manconi – sociologo, politico ed ex docente universitario – con la mediazione del giornalista Luca Misculin. Manconi è perentorio quando tratteggia lo stato in cui sono costrette a sopravvivere 58 000 persone: per cominciare solo in metà delle carceri italiane le celle dispongono di doccia. Solo il 40% delle celle che ospitano detenute hanno il bidet. Il blindo poi, la porta di ferro attraversata solo da una piccola feritoia, è quasi sempre chiuso. In un’estate torrida come quella che sta terminando non è difficile immaginare quali miasmi e quali malesseri fisici le carceri italiane producano. L’offesa alla dignità del corpo è il primo passo per la cosizzazione, per l’annullamento dell’individuo.

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I dati a nostra disposizione sono davvero tanti perciò ignorare la realtà che sta al di là del muro è una scelta deliberata. Il controllo violento dei corpi e dell’animo dei detenuti si riverbera su tutti – dentro e fuori – perché nessuno dovrebbe lavare l’insalata nello stesso vaso in cui si pulisce i piedi. Nessuno. Manconi parla di promiscuità coatta: spazi da cui è vietato evadere ma che umiliano senza sosta chi si trova ad abitarli. Il sovraffollamento degli istituti penitenziari d’altronde ha lo scopo non dichiarato ma reiterato di infantilizzare i detenuti. Un processo che inizia nella cosiddetta società civile e che passa dalle parole usate per descriverne i ruoli. Il carcerato responsabile della pulizia degli spazi per esempio si chiama Scopino, quello è delegato all’acquisto della spesa Spesino e, per chiudere in bellezza, Concellino è il compagno di cella. Vezzeggiativi e diminutivi, termini adatti all’infanzia non a persone adulte. Chi attraversa le porte blindate del carcere viene deresponsabilizzato, privato della sfera affettiva, famigliare e sessuale. Il carcerato subalterno vive una condizione di minorità in cui non avrà modo di praticare il reinserimento, non potrà comprendere, evolvere, rieducarsi.

È il fumettista romano Zerocalcare a toccare un altro punto importante del discorso: le carceri influenzano ed alterano profondamente il tessuto abitativo circostante e le persone che ne fanno parte. Spesso i quartieri adiacenti la mastodontica cittadella di cemento assorbono un’umanità con cui è necessario fare i conti: dai secondini che prendono casa vicino al luogo di lavoro alle persone che al mattino presto lo raggiungono per fare visita ai loro cari. Una presenza scomoda, stigmatizzata nel tentativo di allontanare dallo sguardo e dal cuore l’indesiderato. A concorrere alla volontà politica di eradicare dal cuore della città istituti penitenziari come San Vittore o Regina Coeli il racconto stereotipato che si fa della prigione.

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Il carcere ha un forte valore sia concreto che simbolico. Lì si trovano coloro che hanno commesso Il male. Un male che la società civile condanna e vuole vedere annientato, rimosso come macerie o detriti. È fondamentale comprendere che il cittadino che in carcere non entra avverte oscuramente che quel male che hanno commesso coloro che in carcere sono detenuti lo riguarda. Il cittadino avverte che i detenuti non hanno resistito ad una tentazione che anch’egli avrebbe. Da qui la volontà di tenere lontano il disagio e il dolore. Dalla stessa radice sboccia il cattivismo social e televisivo anche dei più progressisti. Una crudeltà facile da esprimere per chi non paga le conseguenze di quello che dice. Cosa succederebbe però se le mura delle carceri italiane diventassero improvvisamente di vetro? Quanto riusciremmo a odiare da vicino? Il carcere poi è ancora oggi un’istituzione di classe. A parità di reato chi ne ha i mezzi sconta la propria pena ai domiciliari quindi lontano dall’asfissiante e angusto spazio di una cella.

La rabbia e determinazione che si percepiscono dalle parole di Manconi e Zerocalcare sono comprensibili. Anzi, sono necessarie perché le alternative esistono già e vengono testate in paesi come la Spagna.

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I dati raccolti finora dimostrano come le misure alternative al carcere siano di gran lunga più efficaci nel combattere, fra gli altri, la reiterazione di reato. Il cammino, dunque, dovrebbe andare in direzione di una riduzione progressiva dell’uso del carcere. Ad esso verrebbero destinate solo le persone che si sono dimostrate e confermate soggetti socialmente pericolosi. Abolire il carcere non è utopia.

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Da qui passa la restituzione di dignità a chi commette un reato e a chi non lo hai mai fatto. Responsabilizzare i detenuti è segno di civiltà mentre il sistema carcerario contemporaneo è una enorme macchina irrazionale, insensata, incapace di guardarsi. C’è molto da fare. Per prima cosa riconoscere che un mondo senza prigioni è un mondo libero dall’istinto di vedere distrutta, schiacciata una persona e credere fermamente nel potere della trasformazione.

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