Slang
8 9 2021
Slang

Uno spazio dedicato ai tick linguistici dei volontari della redazione

Quali parole dello slang usi? Quali parole non verrebbero capite dai tuoi insegnanti o dai tuoi lettori? Continuando sulla traccia de Il gioco della lingua i volontari della redazione svelano i propri tick linguistici.

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Lo slang che maggiormente ho assimilato nel corso della mia crescita è quello legato alla comunità LGBTQ+, in particolare quello mutuato da parte del programma americano RuPaul's Drag Race. Termini come glamazon (aggettivo slang per una donna alta, affascinante e sicura di sé), oppure, una delle mie preferite «The library is open! Because reading is what? FUNDAMENTAL» (attività in cui le drag queen sono invitate ad essere schiette, e quindi “leggere”, con le altre drag queens. Il riferimento a "leggere" in una "biblioteca" vien di conseguenza). Slang del genere, legati in maniera più ampia al mondo LGBTQ+, sono stati mutuati anche da serie Tv come Pose, oppure anche da libri, in particolare Fumettibrutti e Bernardine Evaristo (presenti al Festival quest’anno). Personalmente utilizzo questo linguaggio solamente con coetanei e con persone che hanno un background tale per poter comprendere le citazioni – in continua espansione. Con le generazioni più giovani, la cosiddetta Generazione Z, è possibile farlo. Con i Millennial è già meno scontato.


Cringe, triggered, shady, tutto il lessico del femminismo etc... da quando frequento compagnie antiglobaliste, capitano tentativi di traduzione discutibili. Poi ci sono cose tutte nostrane, tipo estendere a qualsiasi cosa il termine disagio. O il numero di volte in una conversazione che dico la parola allucinante. Quando farò l'insegnante (forse più presto di quello che credo) sarà divertente, perché io sarò ancora convinta di essere la persona giovane della situazione, e invece.


Mi sono sempre chiesta cosa significhi la parola “swag” o perché sui social si tenda ad abolire il plurale maschile che in italiano descrive sia il maschile, sia il femminile. Tra i termini più informali che uso quotidianamente ci sono “top”, per commentare qualcosa di eccellente, “che sciallo” per indicare un momento di relax e termini tipici dello slang di Milano, la mia città: “ape”, “che sbatti!”, “ci sta”, “bauscia”, “balzare”, “docciarsi”, “call”, “paccare”...


Ammetto che non sono un’amante delle espressioni slang, soprattutto se si tratta di anglicismi, come capita di sovente. Infatti, mi succede di sentire frequentemente i termini “cringe”, per indicare una situazione o un avvenimento “imbarazzante”, e “triggerato”, che mi hanno detto significhi “essere stupito/colpito nel vivo”. Ci sono poi i termini legati al mondo dei social media, come ad esempio “unfolloware” (cioè smettere di seguire il profilo di qualcuno), e un’espressione nuova legata alle nuove abitudini dettate dal contenimento del Covid19 e alla perenne necessità di velocizzare la comunicazione, ovvero “essere tamponato”.


Sono meno giovane, insegno alla scuola secondaria, e spesso sono io a non capire i ragazzi. Quest’anno un alunno mi ha detto che sembravo “triggata” da un certo comportamento. Ci sono voluti due o tre minuti di classe capovolta (loro sono diventati subito prof!) per farmi capire cosa mi fosse successo!


Ho chiesto ai ragazzi di terza media il significato di "flexare", in cambio ho spiegato il significato di "ostentare".


Più che parole in slang (mi allineo al parlato new age eccedendo spesso nei “cioè”, ma mi odio quando lo faccio), mi capita di utilizzare termini dialettali, quelli che i miei nonni pronunciano a tavola, soprattutto quando mi trovo fuori casa. Mi aiuta a sentirmi meno sola, a rinforzare la linfa vitale che proviene dalle radici, quando attorno a me sento accenti non miei.

Festivaletteratura