Tutte le vite dentro una vita
9 9 2022
Tutte le vite dentro una vita

Tuffarsi nelle profondità nascoste dentro ciascun personaggio – e ciascuna persona – con Yewande Omotoso

Yewande Omotoso, di case, ne sa qualcosa. E non solo perché è architetta e scrittrice – due discipline non così distanti, a pensarci su: in entrambe si costruiscono strutture in cui le persone devono muoversi e vivere, più o meno liberamente. Ma soprattutto perché lei di case ne ha tre: Barbados, dov’è nata; la Nigeria, dov’è cresciuta; il Sudafrica, dove si è trasferita a dodici anni, e dove vive tuttora. Quel Sudafrica che è la casa narrativa in cui tutti i personaggi di Omotoso respirano, si muovono, vivono.

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Un posto bizzarro, Cape Town, ci dice Omotoso, in dialogo con Nadeesha Uyangoda. Bizzarro perché stratificato, molteplice come le case che hanno aperto l'incontro di oggi: bellezza amalgamata con bruttezza, turismo patinato e un «layer of decency» che va a coprire una storia di schiavitù e sofferenza che si preferisce non raccontare – ma che è presentissima ancora oggi nei prodotti tipici del Sudafrica che così tanti turisti vengono a cercare, basti pensare al vino. Eppure le storie hanno bisogno di posti bizzarri, molteplici e sfaccettati, per radicarsi e per crescere.

Ma non è il Sudafrica il protagonista delle opere di Omotoso, questo va detto. Sembrerà scontato ma il protagonista è… Il personaggio in sé: signore anziane, ragazze, mariti e mogli di Cape Town e non solo. Un panorama di umanità in cui ognuno non è mai solo se stesso, ma racchiude moltitudini. Infatti, ci dice lei, la progettazione dei suoi edifici è molto simile al modo in cui scrive i suoi romanzi. Non pianifica tutto dall’inizio, dal piano terra fino al tetto: si inizia passo dopo passo, dalle fondamenta, dall’immaginarsi le nature dei suoi personaggi come fossero suoi amici e conoscenti, per poi aspettare e vedere dove loro la portano. Le fondamenta umane dell’edificio narrativo.

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È questo il modo efficacissimo che la fiction ha di commentare sui temi più ampi dell’esperienza umana, dalle politiche di genere al razzismo istituzionalizzato, dal trauma della schiavitù all’apartheid. Il grande potere della narrativa è proprio saper racchiudere tutto questo in una conversazione tra due personaggi seduti al tavolo della cucina. Il piccolo, il quotidiano è ciò che stimola la creatività, e consente alla scrittrice di schematizzare la realtà, schizzandola come fosse il progetto di una casa, inquadrata da varie prospettive, in divenire eppure estremamente vivida e concreta, piena di zone di luce e di ombra.

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E se ogni romanzo contiene moltitudini, quante moltitudini conterrà una scrittrice, allora? Tutte quelle dei suoi personaggi, e anche di più. Omotoso ci racconta la tradizione Yoruba secondo cui in ognuno di noi si celano i nostri antenati, tornati al mondo tramite i nostri corpi: ciascun esistenza nasconde tantissima vita che esplode da ogni dove. E, in barba al buon vecchio «scrivete di ciò che conoscete», la fiction è il modo ideale di sperimentare un modo nuovo di essere, attingendo dalla molteplicità di anime che popolano Cape Town, ma che si nascondono anche nel microcosmo di una singola identità. Moltissime case per moltissime vite.

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