Un Demone in Europa
8 9 2023
Un Demone in Europa

Nazionalismo e populismo alla vigilia delle elezioni europee 2024

Esiste un demone in Europa, un demone nella democrazia, un demone della democrazia? Tonia Mastrobuoni e Giorgia Serughetti, in dialogo con il pubblico di Festivaletteratura, ne sono convinte e lo ribadiscono nei propri articoli, nei propri libri. Dopo il crollo del muro di Berlino, ad est sembrò schiudersi all’improvviso la possibilità di allinearsi finalmente alle democrazie occidentali, di avere diritti e benessere come i paesi dell’ovest. Invece ben presto quei popoli subirono soltanto l’ennesima invasione, questa volta da parte del turbo capitalismo che fagocitò le industrie locali, costrinse alla disoccupazione, portò impoverimento, tolse sicurezze sociali e creò i presupposti per le attuali oligarchie economiche. Interi popoli perdono quindi quasi subito la fiducia nel liberismo e nella democrazia liberale. Economia di mercato e sistema democratico infatti erano arrivati insieme a liberare i paesi ex-comunisti. Ma il benessere promesso non arriva e i partiti populisti approfittano del malcontento popolare per incanalarlo solo verso il sistema politico democratico. Una volta al potere, smantellano pezzo dopo pezzo il sistema della tripartizione dei poteri e quindi dei diritti.

Orban in Ungheria e Kaczynski in Polonia sono gli esempi di questo modus operandi. In questi paesi il Parlamento è sotto il tacco dell’esecutivo, così come il potere giudiziario che, attraverso leggi ad hoc, è stato privato della sua autonomia. Infine il quarto potere, quello della comunicazione, è anch’esso sotto diretto controllo del governo. Quindi non basta andare a votare per dire che un paese è in democrazia. E il demone comune di questi paesi sta infettando anche il resto d’Europa e del mondo, basti pensare al Trumpismo in America («Orban is a great guy» ha già affermato Trump) o a Bolsonaro in Brasile. E insieme alla perdita dei diritti, si fa strada una sempre maggiore spinta verso il nazionalismo, il sovranismo. Si parla di difesa dell’identità, dei confini. Si vogliono creare barriere, indicando i nemici da tenere fuori. Che sono i poveri della terra, i migranti, gli ultimi. E per estensione anche i movimenti per i diritti civili e delle minoranze moderni. Il cuore di Ventotene era tutt’altro. Era profondamente antinazionalististico. Alla fine della seconda guerra mondiale, per superare la crisi che l’aveva provocata, occorreva superare proprio il nazionalismo. Ora le cose stanno tornando indietro. Ed è facile poi che la difesa dei propri confini si trasformi in aggressione per evitare un presunto pericolo alle frontiere, come abbiamo visto con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. L’Europa ha quindi dei grossi problemi. Perché non servono i carri armati in piazza per perdere libertà e diritti, bastano le decisioni prese dalle nuove democrazie illiberali.

E come reagisce l’Europa a questa situazione? Per ora in maniera confusa, insieme con le istituzioni e i partiti che la governano. È vero infatti che la corte di giustizia europea ha sanzionato più volte la Polonia, ma ad un certo punto è stata la corte costituzionale polacca che, controllata appunto dal governo, ha sentenziato che non avrebbe più ascoltato le decisioni europee. Per assurdo non si parla più di uscire dalla Comunità Europea (rimanere nell’Unione ha vantaggi molto maggiori degli svantaggi) ma i partiti populisti lavorano per rendere legittimo il sentimento nazionalistico endogeno. E così anche l’Ungheria viene minacciata con la possibilità di utilizzare l’articolo 7 in sede europea. Ma poi i giochi geopolitici e la convenienza politica annacquano questi propositi. E i popolari europei hanno una grande responsabilità in questo senso, con Weber che va a parlare con Meloni per poter avere ancora la maggioranza in parlamento: Meloni adesso è ancora presidente del gruppo dove troviamo il partito al governo in Polonia. Mentre gli Stati Uniti, per parlare della guerra in Ucraina, vanno più volte proprio a Varsavia e mai a Berlino. E la tentazione anche per la sinistra è quella di scivolare su confini, barriere e migranti (oltre che sul capitalismo predatorio), portandosi assurdamente sulle posizioni dei partiti populisti. Come in Danimarca dove si rimandano i profughi in Siria o si cacciano (“deportano” è la parola giusta) i migranti dai quartieri.

L’Europa è nata con il diritto di asilo come pilastro, con i diritti umani come fondamento: se vengono meno le fondamenta, il sogno europeo si indebolisce e può anche crollare. Merkel aprì la porta ad un milione di siriani, pagando a caro prezzo la scelta, ma il discorso che fece al congresso della CDU sui fondatori e sulle radici cristiane del partito mise tutti d’accordo. In Germania la SPD ha fatto approvare una legge che permette di avere il passaporto dopo 5 anni (addirittura 3 in certi casi). Perché mancano cittadini, la natalità troppo bassa, perché occorre affrontare i problemi facendo scelte difficili e serie. Le destre invece puntano alle nascite “pure”, Orban vuole più bambini ungheresi e cristiani. Che ovviamente sottintende il dominio del corpo della donna, riportando quest'ultimo al solo ruolo riproduttivo. La cosiddetta difesa della famiglia va a finire qui. La nuova frontiera di scontro quale sarà? È già la politica ambientale, il green deal. Le destre europee sono accumunate dal negazionismo climatico. E qui si può combattere, è il prossimo fronte, oltre a quello sempre attuale dei diritti, il terreno fondamentale su cui impostare discorsi e azioni, perché senza giustizia climatica non possiamo avere nemmeno giustizia sociale. Con questi obbiettivi, verso le elezioni europee del 2024.

Festivaletteratura