Una riga tracciata sul foglio
7 9 2018
Una riga tracciata sul foglio

Ripensare i confini nell’epoca della globalizzazione

Segni su un planisfero in carta, le frontiere sono un atto di scrittura che coinvolge il narratore non meno del geografo. Ogni confine è il luogo perfetto per osservare e raccontare: abbastanza vicino per distinguere i dettagli, separato a sufficienza per una descrizione lucida. Festivaletteratura propone queste riflessioni in un ciclo di eventi dedicati alle frontiere e a chi le attraversa.


Frontiera. Una parola dai mille connotati, scomoda, impegnativa ed insidiosa perché in qualunque lingua si pronunci è segno di amicizia e prossimità fra due popoli oppure generatrice di qualcosa di nefasto e pericoloso. In questo modo riassume Valerio Pellizzari il tema dell’incontro tenutosi nella cornice del Teatro Bibiena assieme a Franco Farinelli e Bruno Tertrais. L’autore dell’Atlante delle frontiere tuttavia chiarisce subito quali sono le sue posizioni in merito: depoliticizzare la questione e dare la possibilità a tutti di crearsi un’idea propria. Di fatti, la frontiera non può essere considerata né un concetto buono né cattivo, è semplicemente basilare per l’esistenza di uno stato, che altrimenti risulterebbe un terreno abbandonato. «Una frontiera è necessaria per distinguere due spazi sovrani,» – prosegue – «è giusto chiedersi se debba esistere». Importante è il punto di vista da cui la si osserva: «Se la vediamo da fuori, è un ostacolo; se la guardiamo da dentro è una protezione».

(caricamento...)

«Oggi esistono oltre 50 muri, più che ai tempi della Guerra Fredda» prosegue Pellizzari, a cui il professor Farinelli risponde sostenendo che il concetto viene da ben più lontano, è insito già nell'esistenza del Paradiso terrestre, la cui etimologia antica è «giardino delimitato da un muro». E aggiunge: «che esistano dei limiti e dei confini è normale, altrimenti non si distinguerebbe una cosa dall'altra, non saremmo in grado di nominare le cose. Oggi abbiamo molte frontiere, ma è un oggetto così difficile da afferrare proprio perché archetipico dell’umanità».

(caricamento...)

Tracciare linee e confini però è stata da sempre una necessità dell’uomo, soprattutto per gli europei: un bisogno di classificare le regioni, nato in Europa e accettato poi ovunque. Riprendendo il tema dei muri, Tertrais avvisa la platea: oggi i muri di mattoni e cemento veri e propri in realtà sono ben pochi, come ad esempio quello fra Algeria e Marocco. Gli altri sono semplici recinzioni che non indicano una totale chiusura di un paese, bensì un controllo dei confini. Un mito da sfatare è quello di paragonare i muri moderni al Muro di Berlino. «Il Muro di Berlino impediva di uscire, mentre i muri di oggi impediscono di entrare. L’unico muro paragonabile a quello di Berlino è fuori Europa ed è quello che divide Corea del Nord da Corea del Sud»

I confini servono a creare un’identità culturale ma oggi il concetto ha assunto un forte connotato negativo. In Europa si sta vivendo una crisi d’identità, ci si chiede «Chi siamo?» e si sente la necessità pertanto di sapere dove stiamo noi e dove stiano gli altri. Il mito del «senza frontiere», del loro abbattimento, sta finendo. «Stiamo vivendo un rovesciamento di prospettiva» sostiene Tertaris. Farinelli non fa che supportare questa tesi.

Per il geografo italiano tutta l’organizzazione politica moderna si è basata sullo spazio, almeno fino all'estate del 1969, quando nacque la rete Internet e di conseguenza la globalizzazione. «Non si vuole riconoscere che gli uomini si muovono, lo spazio implica invece che essi non si muovano. Le frontiere sono diventate necessarie per controllare i flussi. Siamo costretti a riconoscere che gli uomini si spostano e interagiscono». E dunque la nascita della globalizzazione ha portato per contraccolpo ad una riaffermazione delle frontiere per preservare le identità nazionali, che sono di conseguenza percepite come un costrutto mentale e fisico che possa rendere sicure le persone e preservare la loro diversità culturale.

(caricamento...)

Il dialogo si conclude dunque con le parole di Pellizzari che invita a riflettere su due termini chiave. La parola "frontiera" si collega alle parole sovranismo e Višegrad. «Il primo è entrato nel dizionario Treccani nel 2017», segno della stretta contemporaneità della questione. L’altro termine invece fa parte del nostro lessico da più tempo ma è spesso usato con ignoranza. «Ci sono infatti due Višegrad» – afferma Pellizzari – «la prima in Ungheria, associata ad una certa politica dei confini portata avanti da Orbán; l’altra si trova in Bosnia ed è l’ambientazione de Il ponte sulla Drina di Ivo Andric». Un invito dunque a ripensare i confini, a tornare a una dimensione più umana delle relazioni fra i popoli, per mettere al centro le persone e le culture e non solo la semplice sovranità di una nazione.


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:

Evento 12 “Un gioco ri-creativo” - Evento 20 “C’è una crepa in ogni cosa” - Evento 37 “Esuli in terra ostile” - Evento 45 “Stati di coabitazione” - Lavagne, giovedì 6 settembre, ore 18:00 - Lavagne, venerdì 7 settembre, ore 18:00 - Lavagne, sabato 8 settembre, ore 18:00 - Evento 177 “Conoscere i confini”.

Festivaletteratura