Oltre lo stigma della dipendenza
8 9 2023
Oltre lo stigma della dipendenza

Lo sviluppo di consapevolezza attraverso la riduzione del danno

Comprendere i meccanismi di cui sono prigioniere le persone affette da dipendenze non è mai impresa facile, specie se sopra di esse si è depositata una coltre di stigmi e pregiudizi che si sono sviluppati nel corso del tempo. Eppure, esordisce Massimo Cirri, «non sono mai esistite nella storia dell’umanità delle società senza dipendenze» e tentare di superare le narrazioni secolarizzate sul tema è dunque l’unico modo per «restituire un’immagine veritiera della storia e del vissuto di molte persone».

Attraversare lo stigma della tossicodipendenza e delle dipendenze in genere è un percorso faticoso. Le storie di Vanessa Roghi e Giulia Scomazzon sono però atti coraggiosi di un processo che, intrecciando storia personale con narrazione pubblica, cercano di togliersi di dosso la fatica di sopportare etichette scomode.

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Entrambe infatti condividono vicende legate a padri e madri vittime dell’eroina, vissuti marcati da una coltre di colpevolizzazione dovuta al pregiudizio e che ha impedito per tempo la ricerca di una verità. Per molto tempo le due scrittrici raccontano di aver assorbito come spugne la vergogna di essere figlie di persone tossicodipendenti; per anni infatti è mancata una narrazione pubblica sul tema delle dipendenze e questo ha fatto sì che si creasse un senso di pudore e vergogna collettiva che ha portato a silenziare una pagina drammatica quanto importante della Storia. Accostare le parole madre e tossicodipendenza non è stato facile, ammette la Scomazzon, il processo di ricostruzione e accettazione della realtà è stato frammentario e lento nell’elaborazione. Tuttavia, far risuonare la sua storia rappresenta l’opportunità per mantenere viva l’attenzione su un tema al centro della nostra attualità. Scomazzon insiste quindi sul tema delle malattie sessualmente trasmissibili, forse l’ambito più occultato per mancanza di azioni concrete e sfociato in una «strage di Stato», dove forse sarebbe bastata soltanto «un po’ più di ragionevolezza» per ridurre il numero di morti a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta.

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Contrariamente al dibattito emerso negli anni Settanta a seguito dell’introduzione del Sistema Sanitario Nazionale, che aveva portato anche a una riflessione sul consumo di droghe per uso personale, nonché sulla distinzione fra droghe leggere e pesanti e sulla necessità di offrire cura e supporto a chi ne facesse uso, oggi, commentano le autrici, si è perso di vista il focus sul tema. La soluzione sarebbe potuta arrivare dall’attuazione di politiche di riduzione del danno, attraverso la comunicazione efficace, la prevenzione e l’accompagnamento all’uso consapevole. Misure entrate molto lentamente nella nostra legislazione, che costituiscono però un vero e proprio segno di civiltà.

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Non è più possibile infatti ridurre la dipendenza sotto l’etichetta di devianza; garantire il diritto alla salute di tutti, distinguere fra uso, abuso, dipendenza, guardare in faccia i problemi delle nuove generazioni – specie dopo la compressione sociale post-Covid –, fare prevenzione e guidare le persone nello sviluppo di una consapevolezza sul tema, indicare dei punti di riferimento cui chiedere aiuto: sono questi gli elementi su cui ognuno di noi è chiamato a riflettere. Contribuire con azioni incisive per supportare le persone che liberamente decidano di far uso di sostanze, lavorare sull’educazione preventiva, fornire strumenti adeguati, non lasciare abbandonate a loro stesse le nuove generazioni è quindi fondamentale per creare persone consapevoli delle proprie scelte e dei propri diritti, ma soprattutto libere da pregiudizi.

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