Salvatori per curiosità
10 9 2023
Salvatori per curiosità

Telmo Pievani racconta casi di serendipità nella scienza

Cos’è la serendipità? Prova a rispondere Telmo Pievani, seduto sulla cattedra di una scuola elementare. Davanti a lui un’aula strapiena di improvvisati studenti di tutte le età, curiosissimi e pieni di domande, che si fanno aria con una decina di ventagli di ogni colore.

La serendipità è un fenomeno che si manifesta innanzitutto nella ricerca scientifica; e che poi si presta, certo, a tantissime traslazioni. In realtà le definizioni di serendipità sono due. Nella sua accezione più debole, serendipità vuol dire porsi una domanda di ricerca, fallire più volte nel tentativo, e poi raggiungerlo sì, ma per una via completamente inattesa. È il principio del pensiero laterale; ed è la ragione per cui «i grandi capi di laboratorio quando vedono che il gruppo si incaponisce su una linea che non va da nessuna parte allora diversificano», li mettono a lavorare su temi laterali, ed è lì che l’idea spesso arriva.

L’esempio di serendipità che si fa sempre è quello della scoperta della penicillina: eppure anche quello è un esempio di serendipità debole, visto che Alexander Fleming per buona parte della sua vita non ha cercato altro che antisettici (di antibiotici, allora, non si parlava). È il percorso a rendere questa storia così serendipica: prima gli isozimi scoperti per caso, perché da raffreddato gli era scesa una lacrima in una piastra di Petri; poi le famose piastre rovinate da una muffa di mela perché un ricercatore non si era lavato le mani dopo il pranzo in mensa. Quello che conta, però, è che qualcun altro quelle piastre le avrebbe buttate, mentre lui ha saputo leggerle. Della celebre frase di Louis Pasteur, che nella scienza il caso aiuta le menti preparate, contano più le menti preparate che il caso. Charles Darwin, quando, da anziano, si trovò davanti una formulazione ante litteram delle leggi di Mendel, fu a un passo dal colmare la grande lacuna della sua teoria e cambiare ancora una volta la storia della scienza: ma la ignorò, perché quelle scoperte non si inserivano nella sua visione dell’evoluzione, che privilegiava i procedimenti graduali su quelli discreti. «I dati non parlano da soli», bisogna che li si faccia parlare.

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L’accezione di serendipità in senso forte è un’altra: è quel che avviene quando un gruppo di studiosi si fa una domanda di ricerca, formula delle ipotesi, effettua degli esperimenti — e poi nel processo trova qualcosa che non ha nulla a che vedere con la domanda di ricerca.

Pievani fa tantissimi esempi di scoperte scientifiche dovute a questa serendipità forte: bisogna ringraziarla, dice, per il teflon, il nylon, il vetro, tutte le plastiche, molti acidificanti e dolcificanti. E racconta di come una volta un farmaco per il cuore sperimentale fu ritirato dal campione statistico perché causava leggera ipertensione, ma i maschi coinvolti rifiutarono con insistenza di restituirlo: era nato il Viagra. Poi racconta di quando si è studiato come facciano i batteri a difendersi dai virus. Era una domanda di ricerca di base: ossia frutto di curiosità, non direttamente legata alla prospettiva di un’applicazione (e infatti l’hanno finanziata «con due lire»). È stato questo gruppo di ricerca a scoprire, così, che i batteri sono in grado, con una forbice molecolare, di copiare pezzetti del DNA dei virus: era la scoperta del gene editing, di valore incommensurabile. Senza, anni dopo, anche alcuni vaccini del covid – i famosi vaccini a RNA messaggero – sarebbero stati impensabili. Una scoperta fatta per serendipità ha contribuito a salvare l’umanità da una minaccia che ai tempi della ricerca neppure esisteva.

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È per via di questi casi, dice Pievani, che, se finanziare la ricerca applicata è fonte di proventi stabili, dare fondi alla ricerca pura – in pratica, alla curiosità – porta, in qualche caso fortunato, ad applicazioni assolutamente impreviste.

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