Un'assordante apocalisse
4 9 2019
Un'assordante apocalisse

Voci oranti e una Napoli di ossimori sul palco con Borelli e il suo teatro totale.

Tanti gli eventi che quest’anno Festivaletteratura dedica alla pratica drammaturgica: la serie d’incontri la scrittura in scena; la performance/reading itinerante in tre momenti, testimonianza "in presenza" dell'attualità di Primo Levi,; l’omaggio attraverso il teatro ad Alberto Moravia con La donna leopardo (un collage di testi moraviani e non solo). E ancora: tre spettacoli scelti per il pubblico dei ragazzi; gli eventi bonus track, cortocircuiti tra letteratura, musica e creatività; e infine proposte di spettacolo unite da un filo musicale.


Da fuori, in fila, si sente Mimmo che prova; una voce forte, quasi un urlo. Sarà uno spettacolo che farà rumore. Si entra e la scenografia sembra confermare queste impressioni: in un angolo un carrello di strumenti musicali dei più vari, dai tamburi, ai piatti, ai sonagli. Entra sul palco intimo dello Spazio Studio Sant'Orsola Mimmo Borrelli, un tailleur gessato con la giacca aperta, un corno napoletano a mo' di pochette, nessuna camicia o t-shirt. Il petto è nudo e i piedi scalzi; un altro indizio, altre aspettative: sarà uno spettacolo viscerale, schietto, senza troppi fronzoli, se non quelli che Napoli, quasi naturalmente, porta con sé. Insieme a Borrelli, da subito, anche Antonio Della Ragione, dietro agli strumenti musicali, sottofondo costante di questo monologo.

Mimmo presenta il protagonista: il Vesuvio, «termometro della nostra città». L'idea di Napucalisse, spiega, nasce dalla richiesta del Teatro san Carlo di creare uno spettacolo che desse voce al Coro, e Mimmo questa voce la trova tra le radicate leggende dei contadini, tra i racconti di paese su bambini camorristi, tra la mitologia greca. Dopo una colloquiale presentazione dello spettacolo e della sua genesi, l'attore si prepara ad immergersi in un monologo polifonico che darà vita a diversi personaggi, e che «sarà una sudata completa», avverte.

Di sudore se ne vedrà tanto e del resto, quello a cui Borrelli ha abituato il suo pubblico è un teatro totale, che visibilmente coinvolge ogni molecola del corpo, ogni corda vocale. Consapevole di questa totalità e della sua forza, Mimmo si augura che al termine dei 50 minuti che seguiranno, il pubblico avrà occhi diversi.

Si comincia. Borelli, come rapito da una sorta di estasi, dalla potenza del suo corpo di attore e della sua sola voce, inizia a far parlare un Pulcinella senza maschera, stanco, che "non fa piangere e non fa più ridere". Pulcinella racconta Napoli con un'icastica e dettagliata descrizione di un matrimonio napoletano, «24 ore ininterrotte di sbaffo». Segue la voce di Lucifero, con le sue ali nere, creatore del Vulcano stesso secondo la leggenda popolare, ormai anche lui, disperato, sopraffatto dalla violenza napoletana e dal suo imbarbarimento. Dopo di lui un camorrista, instradato alla camorra perché fin da piccolo ottimo tiratore, un assassino nato da un parto prematuro che ne ha ucciso la madre, il suo primo omicidio. La sua Napoli senza memoria, che ha accettato la camorra per difendersi dallo Stato, ormai una città piena di metastasi, convince il Vesuvio, creatore e distruttore, a rovesciare la sua lava, a punire quella Napoli.

Il palco si riempie di un'eruzione potente, resa perfettamente da una serie concitata, lunga e martellante di epiteti sulla città. "Napule senza famiglie. Napule senza figlie. Napule ca s’appiglie, ‘u cazzo ’i Ddio cuniglie". È quasi una litania che con la forza di una preghiera implora pietà, speranza ma anche distruzione per questa città così "ossimorica", "vinta dall'arrangiarsi, subito obbediente".

Si capisce chiaramente perché Borrelli abbia definito la sua Napocalisse «oratorio in lettura»: l'attore è quasi misticamente immerso nell'atto dell'orare. Lo fa con 50 minuti di monologo incalzante, animato, intenso, alternando battute in napoletano, al dialetto ancora più ristretto dei Campi Flegrei, e all'italiano di tutti, avvicendando urla, singhiozzi, risate, suoni animaleschi. Non serve capire il dialetto, non è necessario nemmeno comprendere l'italiano perché la potenza della sua parola arrivi a chi ascolta, a chi guarda. Una voce perforante, una mimica espressiva ed eloquente che condanna e chiede perdono, che mette nel palco l'Apocalisse di una Napoli dal volto doppio.

Qualcuno sottovoce, tra il pubblico, esclama "ci mancava solo questa", alla stellina scintillante che Mimmo fa brillare sopra di sé quasi al termine del monologo -l'ennesimo gioco col proprio corpo- ma poi applaude con convinzione e sorride quando lo spettacolo finisce. Alla fine anche il pubblico urla - come il Borrelli/Lucifero/Vesuvio/Pulcinella/Camorrista- qualcuno produce solo suoni, altri un "bravo" sincero. C'è chi si alza e parla napoletano.


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:

Eventi 18 “Napucalisse” - Evento 19 “A volte ritornano” - Evento 36 “La pagina bianca a volte è il mio nemico” - Evento 44 “Lo zolfo della parola” - Evento 46 “Astrid Lindgren: la vita è una favola amara” - evento 65 “Muro io ti mangio, in musica!” - Evento 67 “Messia e rivoluzione” - Evento 69 “La donna leopardo / concept opera” - Evento 84 “E la rima il ritmo sposa” - Evento 91 “Se questo è Levi. Se questo è un uomo” - Evento 96 “Il pericolo dell'ideologia come alibi” - Evento 100 “Non provateci a casa” - Evento 106 “Se questo è Levi” - Evento 112 “Se questo è Levi. Il sistema periodico” - Evento 113 “Alzati, Martin” - Evento 124 “Partir” - Evento 132 “Lupi” - Evento 139 “Lupi” - Evento 150 “Se questo è Levi. Se questo è un uomo” - Evento 151 “Lupi” - Evento 154 “Leo. Uno sguardo bambino sul mondo” - Evento 164 “Lupi” - Evento 165 “Il libro è un palcoscenico” - Evento 166 “Se questo è Levi. Il sistema periodico” - Evento 170 “Se questo è Levi. I sommersi e i salvati” - Evento 185 “Ci sarebbe poco da ridere” - Evento 192 “Leo. Uno sguardo bambino sul mondo” - Evento 214 “In viaggio” - Evento 217 “Ultima poesia” - Evento 228 “Il sadico del villaggio”.

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